«Si vocifera che il breve dramma di Puskin [Mozart e Salieri, ndr] sia alla base della pièce teatrale in due atti scritta da Peter Shaffer nel 1978. Il suo Amadeus, che tradotto letteralmente significa “L’amato dagli dèi”, ossia “Wen die Götter lieben” [titolo di un film biografico tedesco del 1942, dedicato a Mozart, non a torto aspramente criticato dagli autori qualche pagina prima, ndr], fu rappresentato nel 1979 al Royal National Theatre di Londra». BIANCHINI E TROMBETTA, Mozart. La caduta degli dei, p. 60.

Desta meraviglia che in 4-righe-4 si possano dire tante bestialità.

  1. Shaffer ha pubblicamente dichiarato di non aver letto Puskin, prima di stendere il suo dramma, in un’intervista televisiva del 1981 (cfr. M. BIDNEY, “Thinking about God and Mozart: The Salieris of Pushkin and Peter Shaffer”, in «The Slavic and East European Journal», vol. 30, n. 2, 1986, pp. 183-195), e come del resto risulta evidente da un confronto tematico e drammaturgico tra i due drammi (anche solo per il fatto che in Puskin Salieri uccide Mozart, cosa che non accade in Shaffer). Qualora si voglia mettere in dubbio la parola dell’autore, sarebbe necessaria una qualche prova (ma, in genere, questo è uno scrupolo scientifico che gli autori tengono in non cale). Qui, invece, ci si affida a un formidabile «si vocifera», per il quale cfr. infra, punto 3.
  2. “Amadeus” non significa affatto, etimologicamente, “l’amato dagli dèi”, bensì “colui che ama Dio”. Il titolo del film tedesco, ovviamente, non ha nulla a che fare con il nome di Mozart, ma cita il celeberrimo frammento di Menandro “muore giovane colui che è caro agli dèi” (“ὃν οἱ θεοὶ φιλοῦσιν ἀποθνῄσκει νέος”). Avessero letto anche solo “Amore e morte” di Leopardi, lo ricorderebbero…
  3. Quel «si vocifera» poi, dicevo, è un assoluto capolavoro. Si vocifera dove? Al bar? In piazza? In parrocchia? Nei corridoi dell’Istituto Comprensivo di Bussolengo? Meriterebbe un capitolo a parte, naturalmente, lo stupro della lingua italiana spesso perpetrato dai due, che volentieri lasciamo da banda. Ma la dice lunga, in ogni caso, su quale tipo di antropologia culturale fondi tutta la prima parte del libro, dedicata alla costruzione del “mito” mozartiano da parte dei malefici tedeschi contro i teneri e indifesi italiani.

P. S. Sono particolarmente ferito dall’ultima fattispecie citata. Sono infatti da sempre un cultore della musica settecentesca degli antichi stati italiani, di cui amo moltissimo specie il repertorio sacro (ma non solo), pur non essendone uno studioso stricto sensu. Ma negli anni ho raccolto un’imponente discoteca e molti saggi, nell’ambito. Ora, mi chiedo: ma se si vuol valorizzare un Leo, uno Jommelli, un Lotti, fino a Paisiello, Cambini, Boccherini e a chi volete voi, che diamine, perché non scrivere saggi su di loro, indicandone la grandezza, inscrivendone l’opera in un più ampio contesto biografico e culturale, invece che sparare fesserie su Mozart (e Haydn, Beethoven, Bach, Schubert: ce n’è per tutti, in questa perversa forma di razzismo culturale al contrario…)?

Mario B.