La puzza di nazismo e complottismo in mostruose manipolazioni

di Mirko Schipilliti

Che il nazismo usasse e strumentalizzasse la cultura e tutto ciò che non fosse ebreo nel nome della razza è uno dei fatti stranoti che i rotoloni cercano di riciclare con sedicente astuzia, ma con risultati catastrofici. Di cosa ci dobbiamo meravigliare? Che i criminali nazisti sfruttassero anche il nome Mozart? Per Bianchini & Trombetta è lì la causa della genesi del mito di Mozart e del concetto di “stile classico viennese”. Di fatto, il nazismo non ha creato proprio alcun mito, perché Mozart era già autenticamente ammirato da Schubert, Rossini, Liszt, Cajkovskij, Mahler, Kierkegaard, Adorno, per elencarne alcuni. Come ha ben ricordato Erik Levi, molto citato dai nostri due autori, «il punto di svolta fu indubbiamente l’annessione dell’Austria alla Germania del Reich nel marzo del 1938, e la deduzione che Mozart poteva essere usato come una potente arma culturale con cui promuovere il concetto di Grande Germania» (E. LEVI, Mozart and the Nazis: How the Third Reich Abused a Cultural Icon, London, Yale University Press, 2010, p. 145). Quale originalità, quindi, ma qui veniamo – e non troppo sottilmente, bensì attentamente – all’ennesimo nuovo esempio di mastodontica castronata, ben velata, che si affianca ad alcune fesserie e furberie colossali ed esemplari sufficienti a invalidare qualsiasi contenuto dei rotoloni. Ci vogliono far cadere subito nel tranello fra le righe, perché nella bibliografia dei volumoni su questo testo di Levi gli autori omettono – e non crediamo per nulla fortuitamente – il sottotitolo di copertina «come il Terzo Reich ha abusato di un’icona culturale». Caro lettore, apri bene le orecchie, anzi gli occhi, leggi bene, anzi benissimo: per Levi i nazisti non hanno creato un’icona culturale, ma ne hanno abusato. È un concetto ben diverso da quello che vorrebbero farci bere Bianchini&Trombetta. Ecco che Mozart and the nazis di Levi, ma anche il suo Music in the third Reich del 1994 (non citato) hanno sicuramente potuto offrire molti spunti ai nostri autori, con ben 53 citazioni dal primo libro di cui alcune particolarmente estese (33 nel volume I, 20 nel volume II), ma evidentemente a proprio piacimento, ovvero travisando l’intero significato di un testo documentatissimo strumentalizzandone appositamente la portata.
Erik Levi (1949) è uno studioso e musicista, Reader e Director of Performance alla Royal Holloway University di Londra. Ha studiato presso le Universities of Cambridge and York e alla Berlin Staatliche Hochschule für Musik, approfondendo negli ultimi vent’anni lo studio della musica del XX secolo, del periodo della Repubblica di Weimar e fra le due guerre mondiali, con particolare riferimento al periodo nazista.
Cercare di appoggiarsi malamente ad uno dei maggiori studiosi di questo ambito serve a dar credito alle proprie tesi balorde, considerando anche che i due testi non sono ancora tradotti in Italia, fatto che gioca a sfavore di tutti i lettori, un vulnus su cui si fa leva. Ecco come ti frego senza che tu nemmeno te ne accorga. Ed ecco inoltre che rimettere Mozart in palmo di mano ai nazisti, costruendoci intorno un universo, piace ancora di più perché puzza di complotto. Ma puzza.

Appendice ascessualizzata

Il solo accostamento ‘critico’ della musica di Mozart alle aberrazioni naziste è esso stesso una gigantesca aberrazione. Ci si rotola nel fango e ci si sporca in modo indelebile. Lo stesso titolo Mozart la caduta degli dei accosta il grande compositore al nazismo in modo subliminale, copiando e alludendo primariamente al famoso omonimo film di Luchino Visconti, ambientato nella Germania nazista, e secondariamente alla Götterdämmerung wagneriana in una luce ovviamente negativa dal pretestuoso e iperbolico carattere implicitamente profetico. Ma non sarebbero proprio i nostri autori i paladini dell’originalità contro ogni forma di plagio? Si afferma in modo imperativo che «la musicologia tedesca ha cancellato e riscritto cento e più anni di storia della musica» (vol. I, p. 49) e si vuole far credere che la musicologia del dopoguerra pro-Mozart è neonazista, riducendo Mozart, il classicismo e l’essenza stessa del significato musicale a un rapporto tra musica e politica, concetto oggigiorno quanto mai anacronistico, e traslato sulla visione di Mozart addirittura paradossale e grottesco.
Se da un lato la lettura del libro sembra far intendere paure ancestrali e archetipiche contro i barbari d’oltralpe, dall’altro dare un tale peso al nazismo stesso sembra quasi nascondere pericolose relazioni, un attaccamento morboso che fa distorcere la visione della storia. Ma chi sono i nazisti in questo libro? Chi ha sempre amato e cercato di comprendere la musica di Mozart o chi colleziona falsi indizi per ideare un impianto accusatorio su castelli di carte? È proprio la propensione dolosa alla distorsione degli eventi e della storia la tipica caratteristica delle dittature e del nazismo per distruggere cultura e libertà, atteggiamento che ritroviamo in questi libri e che si ritorce contro come un boomerang, verso autori a cui piace infatti citare Goebbels, ministro della propaganda hitleriana (ben diciotto volte nel primo volume e sette nel secondo): «Non sarebbe impossibile dimostrare che un quadrato in realtà è un cerchio» (vol. II, p. 61). Appunto, come si cerca di fare attraverso le centinaia di pagine dei rotoloni. E poi tirano in ballo l’Olocausto, cadendo in contraddizione: «L’Olocausto ha colpito non solo gli ebrei, le minoranze, i dissidenti, gli artisti degenerati e milioni di individui, ma anche la musica stessa. Nei forni delle Società di musicologia sono andati distrutti purtroppo secoli di storia musicale» (vol. II, p. 26). Il risvolto della lettura è purtroppo ben diverso a un occhio attento, visto che sotto il nazismo – contrariamente a quanto affermato in modo categorico – Theodor Anton Henseler studiava e pubblicava persino sull’italiano Luchesi, ma ora nel forno crematorio ci finisce pure Mozart. La stessa Shoah – tirata in ballo dagli autori – viene offesa dal momento che noti studiosi tedeschi di origine ebraica hanno contributo agli studi sul classicismo.
Del resto, il germanocentrismo di impronta nazista verso cui i nostri due autori vorrebbero far convergere le loro tesi antimozartiane, è un gatto che si morde la coda col prosciutto davanti agli occhi, rivelandosi un equivoco colossale retto dalla malafede e smascherabile da questa acuta sintesi di Bojan Bujic, che mette insieme tutte le anomalie interpretative che attraversano i due assurdi tomi:

Come la purezza razziale è una nozione biologicamente sospetta, così il credere nella supposta unicità di tradizioni separate falsifica la storia e sottovaluta importanti correnti trasversali. Alla luce di ciò la più recente storiografia musicale è profondamente impegnata nello spostare l’interesse da uno studio dell’esclusività a uno studio delle trasversalità. […] Sessant’anni dopo, con il senno di poi, è possibile vedere che, piuttosto che essere sintomo esclusivo di caratteri nazionali, la passata tradizione germanica doveva piuttosto la sua forza ad una consapevole sintesi di stili e approcci diversi. Una volta che questa ricchezza fu ridotta dai nazisti a un insieme di elementi che si supponevano essere tipicamente germanici, la maggioranza della musica scritta in Germania negli anni Trenta dai compositori approvati ideologicamente sprofondò a un livello di mediocrità difficilmente considerabile come caratteristico della musica germanica precedente o seguente.*

* B. Bujic, Le tradizioni nazionali, in Enciclopedia della musica, a cura di J.-J. Nattiez, Torino, Einaudi, 2001, vol. I, Il Novecento, pp. 99-100).