Il pianoforte della memoria Lonquich suona Hartmann

di Mirko Schipilliti

In concerto domani al Teatro Del Monaco di Treviso per la stagione da camera «Sono felice che sia stato accettato questo programma, non tutti lo fanno»

TREVISO. Fra gli artisti più importanti sulla scena internazionale, il pianista Alexander Lonquich è uno dei pochissimi impegnati in percorsi di ricerca che sfidano ogni routine, senza rinunciare alla musica da camera, alla direzione d’orchestra, al dibattito culturale. Maestro indiscusso per Mozart e Schubert, si è spinto verso terreni inesplorati. A pochi giorni dalla Giornata della Memoria, suonerà domani alle 20.45 per la stagione da camera al Comunale di Treviso la Sonata di Karl Amadeus Hartmann “27 Aprile 1945”, memoria storica di un grande compositore praticamente ancora sconosciuto.

Perché ha scelto questa sconvolgente partitura scritta dopo la visione della marcia della morte dei prigionieri di Dachau?

«La conosco fin da giovane, come anche i percorsi dei compositori internati a Theresienstadt. Si tratta di musica di grande qualità concepita dall’unico autore tedesco rimasto in Germania a comporre in netta opposizione al regime. È un brano singolare, nato di getto come reazione immediata. Vi troviamo echi di Berg, Eisler, Hindemith e Bartok. La sua personale cifra è una particolare qualità “narrativa”, espressione del suo umanesimo intriso di inevitabile pessimismo. Oltre al repertorio più conosciuto sono importanti le retrovie. Affascinato da compositori emigrati e da poeti “boicottati”, ho letto tutto quello che si poteva sugli artisti durante il nazismo, una letteratura tutta da scoprire. Sono felice che a Treviso abbiano accettato questa Sonata, non tutti gli organizzatori se la sentono di mettere il pubblico a confronto con una creazione così particolare».

Come si è avvicinato al ‘900?

«Da sempre trovo stimolanti alcuni lati meno esplorati della prima parte del ‘900. Suono la raccolta “Nella nebbia” di Janacek, fra i compositori che amo di più, uno dei più grandi. Di fronte alla brevità delle melodie, la chiave sta nel teatro musicale per capire questi brani. La curva melodica non si orienta verso linee tradizionali, ma riprende la lingua parlata».

Vi ritrova l’eco della storia?

«Già in Schubert nascono gesti musicali che ossessioneranno autori successivi. Mahler sfruttò tali caratteri idiomatici, un “cuore” austriaco che domina anche molti passi di Berg. La sonata D959 di Schubert che eseguo nella seconda parte lascia domande senza risposte, cerca un centro che non trova mai; nel primo movimento manca un vero tema, nel secondo c’è un vuoto e una tristezza che incontreremo nei passi più desolati di Mahler».

Schubert è ancora troppo poco conosciuto?

«Si fa fatica ad accettarne gli aspetti più aspri. La sua musica pianistica è stata rivalutata solo negli ultimi 50 anni».

Pur nella sovrabbondanza d’informazioni e documenti, internet, registrazioni, ricerche, si studiano poco Hartmann o Schubert, fra luoghi comuni e disinformazione. Come uscire da questo paradosso?

«Nel 1810 E.Th.A. Hoffmann considerava Beethoven un romantico. Oggi c’è addirittura chi sostiene in modo fantasioso che un compositore come Luchesi avesse scritto alcuni capolavori di Mozart e Haydn, ma solo chi è completamente sprovvisto della conoscenza degli idiomi di questi autori può immaginare che un mediocre come Luchesi potesse muoversi con maestria dal nulla in due mondi sonori così ben identificabili. Va approfondita la particolarità di ogni singolo compositore, al di là di facili etichette stilistiche».

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