Per gentile concessione della testata «Gli stati generali» pubblichiamo a puntate il pamphlet “‘Ma voi chi siete per dirci questo, Dio?’ «La caduta degli dei»: trionfi dell’Invidia e dell’Inganno. Guida democratica per aspiranti musicologi contro fake-books e fake-news: come non scrivere una biografia critica di argomento musicale e musicologico” di Mirko Schipilliti

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Scena III. Psicosi complottista

Tema ricorrente e ossessivo nei due tomi è il voler far credere che la musicologia del dopoguerra “pro-Mozart” è neonazista, riducendo Mozart e il classicismo a un rapporto tra musica e politica, concetto oggigiorno quanto mai anacronistico, e traslato sulla visione di Mozart addirittura paradossale e grottesco: «Tali distinzioni ariane ebbero particolare fortuna, e furono adottate acriticamente anche dopo la sconfitta di Hitler. Anzi, furono potenziate, quando ci si accorse che la “scatola” della “prima scuola di Vienna” non avrebbe potuto contenere tutti i “geni” austro-tedeschi. Sicché dopo la seconda guerra mondiale, i musicologi, seguaci di Adler, continuarono a credere in questa tradizione filo-nazista» (vol. I, p. 19). Anche improvvisamente, quando meno ce l’aspettiamo, si inframmezzano nella discussione slogan imbarazzanti sul tema, definendo, ad esempio, «quei tanti critici, nazionalisti prima, nazisti poi, che presero per buona la faccenda di Salieri» (vol. I, p. 57), o sostenendo che «finita la guerra, i musicologi tedeschi, rimasti in patria o emigrati all’estero, colsero i vantaggi dei progetti iniziati con il nazismo» (vol. II, p. 25), per scrivere in modo imperativo che «la musicologia tedesca ha cancellato e riscritto cento e più anni di storia della musica» (vol. I, p. 49) e che «in Italia la musicologia è una disciplina recente e soffre della sudditanza con i Paesi tedeschi nei quali è nata. L’idea che Haydn sia il padre della Sinfonia, che Mayr lo sia dell’Opera italiana dell’Ottocento, e Hasse invece dell’Opera Settecentesca, è frutto del sogno pangermanico di Goebbels» (vol. I, p. 24), con «un fardello nazionalsocialista che infesta da più di sessant’anni i libri di musica» (vol. I, p. 27). In pratica si fa piazza pulita dello scibile del dopoguerra, lo si rade al suolo per ergere il proprio “sapere” a nuovo messaggio per l’umanità, in linea con un’imposizione di nuove verità dal sapore messianico e settario (vedi sotto, Finale I). Eppure, quando torna utile, si citano ugualmente i testi di questa stessa musicologia che si ritiene contaminata, evidentemente indispensabili.

Il solo accostamento “critico” della musica di Mozart alle aberrazioni naziste è esso stesso una gigantesca aberrazione.  Non è ammissibile, da nessun punto di vista infatti, assegnare una qualche autorità “musicologica” o di “contributo” al nazismo o ai suoi rappresentanti, riconoscendovi un ruolo effettivo nel delineare lo sviluppo della ricerca. Lo stesso titolo Mozart. La caduta degli dei accosta il grande compositore al nazismo in modo subliminale, copiando e alludendo primariamente al famoso omonimo film di Luchino Visconti, ambientato nella Germania nazista, e secondariamente alla Götterdämmerung wagneriana in una luce ovviamente negativa dal pretestuoso e iperbolico carattere implicitamente profetico. Ma non dovrebbero essere proprio i nostri autori i paladini dell’originalità contro ogni forma di plagio?

Il capitolo I L’amato dagli dei introduce la questione del nazismo e delle sue supposte continuità, distorcendo e mutilando quanto ripreso impropriamente dal libro di Levi di cui abbiamo già anticipato il cattivo uso. A proposito di Mozart leggiamo che «”molte delle mistificazioni, che avevano interessato la sua persona e la sua musica durante il nazismo, furono presto dimenticate”, perdonate e nuovamente fatte risorgere nel dopoguerra» (vol. I, p. 7), citando Levi, appunto, nel virgolettato, ma affiancandovi le proprie congetture, e omettendo quanto scritto per esteso da Levi poco più sopra, ovvero che «per Mozart non c’era bisogno di essere riabilitato», e più importante ancora, che «la grandezza e l’umanità di Mozart erano in grado di trascendere gli orrori del nazismo» (Levi, op. cit., p. 237), passo ovviamente opportunamente evitato. Si rincara poi la dose scrivendo che nel dopoguerra «i progetti che la propaganda aveva promosso ai tempi del Führer riemersero e molti dei libri nazisti furono ripubblicati» (vol. I, pag. 7). «Molti»? E quali? A sostegno di questa tesi balorda si cita di nuovo Levi impropriamente e semplificandolo mostruosamente: «”Le prefazioni alle partiture mozartiane del Ministero della propaganda hitleriano rimasero spesso intatte”». Levi si riferisce in realtà alle ristampe dell’americana Dover, negli anni ’70 e ’80, delle edizioni tedesche della trilogia Da Ponte-Mozart risalenti al 1941, puro dato di cronica che nulla ha a che vedere con strascichi filonazisti. Vedremo più sotto come i procedimenti di rielaborazione surrettizia attuati nei due tomi sono uno dei principi basilari con cui tirare acqua al proprio mulino e discreditare chiunque.

La lettura del libro di Levi ci aiuta nuovamente a capire quanto nei due volumoni si scopiazzi malamente per montare teorie negazioniste complottiste inverosimili e assurde. Nel citare il libro dei massoni di Johannes Dalchow, Dieter Kerner e Gunther Duda, Mozarts Tod 1791-1971 (Pähl Verlag, Hohe Warte, 1971), appunto pubblicato nel 1971 (Bianchini & Trombetta citano questi autori dimenticando la data del libro e storpiando il nome di Dalchow in Diachow, vol. I, p. 39), dove si rilancia la tesi dell’assassinio di Mozart, Levi fa ben notare come – nonostante le loro teorie fossero state già criticate e considerate di valore storico nullo, nel 1991 da William Stafford nel suo Mozart’s Death. A Corrective Survey of the Legends (Macmillan, 1991, volume noto negli Stati Uniti col titolo The Mozart Myths. A Critical Reassessment, Stanford University Press, 1991) – «l’assoluta determinazione con cui Dalchow, Kerner e Duda perseguono le proprie idee appare inquietante, e accresce la fastidiosa questione sull’entità del danno di una propaggine neonazista verso gli studi tedeschi su Mozart nel dopoguerra». Che è ben diverso dal sostenere, anche solo sfiorandola, l’idea che la musicologia del dopoguerra sia neonazista o che voglia riscrivere la storia. La storia – almeno così pare – la vorrebbero riscrivere Bianchini & Trombetta: «È ora di riscrivere la storia della musica del Settecento secondo criteri di verità e non di propaganda nazionalistica» (vol. I, p. 49). E poiché le idee di Levi e Stafford non piacciono, si manipola Levi e si mistifica Stafford discreditandolo. Contestando infatti la teoria sull’omicidio di Mozart voluto dalla massoneria, Bianchini & Trombetta sostengono che «quest’assurda teoria è stata appoggiata ed esposta in dettaglio da William Stafford» (vol. I, p.39). Nulla di più falso, come abbiamo appena scritto, poiché quello che fa Stafford molto semplicemente e più che correttamente nel suo libro consiste prima nello spiegare in modo iperdocumentato la storia di tutte le falsità mitizzate sulla morte di Mozart (in cui invece Bianchini & Trombetta affermano che egli creda) commentandole in modo retorico: «queste sono le storie principali sull’avvelenamento. Sono dunque credibili?» (Stafford, op. cit., p. 43). Stafford le demolisce successivamente punto per punto, per concludere descrivendo proprio quello che ritroviamo nei due tomi, ovvero facendoci apparire indirettamente proprio l’atteggiamento di Bianchini & Trombetta come tipico degli epigoni di una letteratura complottista, i cui autori «accettano acriticamente il pettegolezzo più popolare contro i massoni […]. I loro racconti troveranno credito solo fra quei lettori le cui menti sono in sintonia alla teoria della cospirazione. Nessun argomento contrario convincerebbe tali lettori: essi considereranno semplicemente che la critica è stata essa stessa parte della cospirazione. […] La teoria dei tre dottori [Dalchow, Kerner e Duda] è un perfetto esemplare di un sistema chiuso con strategie attuate per proteggere se stesso contro una validazione scientifica» (Stafford, op. cit., p. 47, 53).

Come altri studiosi, tritati in questi due volumi come carne da macello, anche l’americana Pamela Potter – e sempre sul tema del nazismo – viene citata a proprio uso e consumo, abusandone del pensiero fino ad attribuirle parole che non compaiono nella stampa originale. Nell’articolo Musicologia e nazismo inserito nell’Enciclopedia della musica Einaudi, la Potter conclude commentando che «la fede in una superiorità musicale tedesca si era comunque così fortemente consolidata che non solo sopravvisse alla “denazificazione” della disciplina, ma continuò a vivere nella musicologia di altri paesi» (P. Potter, Musicologia e nazismo, in Enciclopedia della musica, Il sapere musicale, Einaudi, Torino, vol. II, p. 748). Nel tentativo di forzarne i significati, Bianchini & Trombetta hanno avuto purtroppo l’ardire di manomettere il suo testo sostituendo il punto finale con una virgola e aggiungendo in coda la frase di pura invenzione «e continua ancora oggi» (vol. II, p. 25). Gesto di inaudita, illegittima e illegale prepotenza, estendendo forzatamente all’epoca a noi più contemporanea una considerazione circostanziata nel tentativo estremista di accusare chicchessia. Meriterebbero una diffida da parte di Einaudi per la rettifica, il che comporterebbe un conseguente ritiro dal commercio del volume, nonché una legittima richiesta di risarcimento da parte dell’autrice. La Potter continua scrivendo invece che «la musicologia tedesca era stata per molto tempo un modello per tutti, e il canone musicologico esaltava la componente tedesca al punto da interdire un giusto riconoscimento di altre tradizioni. Solo da poco, e a stento, la musicologia ha accettato come oggetti di studio rispettabili materie come l’opera francese e italiana dell’Ottocento, la musica inglese e la musica popolare americana. […] Anche se il periodo nazista ci pone di fronte a uno scenario estremo, esso c’impartisce una lezione importante illustrando fino a che punto, in periodi di transizione intellettuale e politica, i percorsi della scienza possano rendersi vulnerabili alle forze dell’irrazionalismo, alle ristrettezze di bilancio e all’infiltrazione di ideologie populiste» (Potter, op. cit.).

Si tratta di un quadro in realtà ancora più complesso e che non può essere liquidato in poche battute né tanto meno in questa sede, ma che in quelle parole della Potter adulterate dai due autori ridimensiona in realtà un problema, per nulla legato alla genialità e ai meriti mozartiani, che invece Bianchini & Trombetta pongono come colonna portante in modo irreale, surreale e mistificato, strumentalizzato in senso complottista per discreditare ridicolmente Mozart inzuppandolo nel nazismo.

La questione sulla musicologia del dopoguerra è ben più raffinata di come ce la vogliano porre Bianchini&Trombetta, ed è stata già sondata ampiamente e approfonditamente coi dovuti modi (vedi anche quanto riportato da Bujic, Scena V).  Inoltre, da una rapida ricognizione degli “Acta Musicologica” ovvero della pubblicazione ufficiale dell’Associazione Internazionale di Musicologia, assumendone la “rappresentatività” disciplinare in materia, si evidenzia che negli anni ’30 – e la situazione non cambia in seguito – non vi è alcuna prevalenza di scritti sulla tradizione tedesca rispetto alle altre.

Se una supposta “musicologia neonazista” avesse infestato il sapere, dovremmo convenire che non solo gli studiosi ma tutti i grandi interpreti, a partire da Karajan (al quale si dedicano alcuni paragrafi dandogli del «nazista pluritesserato», vol. II p. 421; che giova poi in un libro su Mozart?), direttori d’orchestra, pianisti, violinisti, orchestre e tanti altri ancora non avrebbero dunque capito proprio nulla di Mozart, assuefatti a politiche di regime. Se da un lato la lettura dei tomi dei coniugi Bianchini sembra far intendere paure ancestrali e archetipiche contro i barbari d’oltralpe, dall’altro dare un tale peso al nazismo stesso sembra quasi nascondere spiacevoli relazioni, con un attaccamento morboso che fa alterare la visione della storia. Chi sono in realtà i veri nazisti in questi due libri? Di fatto vi si collezionano falsi indizi per ideare un impianto accusatorio inconsistente e vano. È proprio la propensione dolosa alla distorsione degli eventi e della storia la tipica caratteristica delle dittature e del nazismo per distruggere cultura e libertà – la stessa libertà con cui oggi scriviamo e sosteniamo  queste righe – atteggiamento ostile che ritroviamo nei due tomi e che si ritorce come un boomerang verso autori a cui piace infatti citare Goebbels, ministro della propaganda hitleriana (ben diciotto volte nel primo volume e sette nel secondo): «Non sarebbe impossibile dimostrare che un quadrato in realtà è un cerchio» (vol. II, p. 61). Appunto, come accade puntualmente attraverso quelle centinaia di pagine. Vi ritroviamo persino il concetto di “razza“, ormai obsoleto, e che in questo contesto risulta alquanto sgradevole, niente meno che a proposito di Jommelli: «nato nel 1747 come Gluck, ma di razza mista» (vol. I, p. 62). Poi, si tira in ballo l’Olocausto, strumentalizzato in maniera iperbolica, cadendo in contraddizione: «L’Olocausto ha colpito non solo gli ebrei, le minoranze, i dissidenti, gli artisti degenerati e milioni di individui, ma anche la musica stessa. Nei forni delle Società di musicologia sono andati distrutti purtroppo secoli di storia musicale» (vol. II, p. 26). Contrariamente a quanto affermato in modo categorico, in pieno nazismo il musicologo Theodor Anton Henseler studiava e pubblicava proprio sull’italiano Luchesi (vedi sotto), mentre la stessa Shoah viene offesa dal momento che noti studiosi tedeschi di origine ebraica hanno contribuito agli studi sul classicismo. Il risvolto della lettura è purtroppo ben diverso a un occhio attento: l’unico che si vuole sacrificare ora, con questi due volumi, è Mozart.