«Eppure vorrei tanto mostrarmi anche in un’opera italiana» (Mozart al padre, Vienna, 7 maggio 1783)

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Dalle parti di Sondrio si depreca con insistenza l’attenzione che viene riservata ai loro scritti, interpretata del resto come un segno positivo: attesterebbe, cioè, la bontà dei loro ragionamenti e la solidità delle prove che li supportano. Vorremmo rassicurare Bianchini e Trombetta, e il loro sparuto gruppuscolo di sostenitori plaudenti: quello che ci spinge a occuparci delle loro fantasie panflettistiche è, come abbiamo ribadito più volte, il proposito di fornire notizie corrette ai frequentatori della rete, indifesi e per natura tendenti ad aderire a posizioni negazioniste (e magari ad ammirare chi sostiene oggi la verità di documenti falsissimi come i terrificanti Protocolli dei savi di Sion).

L’ultima bufala è quella che qui si propone e commenta criticamente, com’è sempre lecito e doveroso fare. L’idea che sorregge il pistolotto della signora Trombetta è sconcertante, e degna dei neonazisti che infestano rigogliosamente la vita pubblica odierna: quella che per essere coerente uno debba musicare solo la propria lingua madre. Per restare agli stretti contemporanei, Gluck se la cavava piuttosto bene con italiano, francese e tedesco. Il faentino Giuseppe Sarti (citato dai due signori in maniera impropria e fuorviante per la critica al quartetto KV 465) musicò addirittura testi in danese, russo e slavo ecclesiastico, che sta al russo più o meno come il latino all’italiano. Oltreché nei più comuni idiomi francese e tedesco, il che fa di lui il compositore forse più poliglotta della storia. Salieri col francese e il tedesco, ma anche lui era italiano, e dunque degno comunque dell’ammirazione negazionista. Mozart invece sarebbe «incoerente» perché afferma di trovare più difficile scrivere l’opera tedesca, eppure ci si vuol impegnare, e chiede il motivo per cui se ogni nazione ha la propria opera anche i tedeschi non possono avere la loro. Nella lettera citata dalla signora Trombetta, oltretutto, Mozart attacca a parlare di «opera italiana» e «opera tedesca» non come generi, ma come compagnie teatrali attive a Vienna (vedi la lettera al padre del 5 febbraio 1783, n. 549 nell’edizione tradotta da Murara, pp. 1302-1304), e solo nel prosieguo passa alla questione generale. Sarà peraltro interessante sapere che l’opera tedesca nella mente di Mozart in quel preciso istante (i genî, sappia la signora, pensano velocemente e cambiano idea con la velocità del vento) era Il servitore di due padroni, dell’italianissimo Carlo Goldoni – il quale peraltro scrisse ottimamente anche in francese. E così via…

Nuova Accademia della Bufala (Lidia Bramani, Fabio Bruno, Renato Calza, Alessandro Cammarano, Paolo Congia, Michele Girardi, Marco Murara, Mirko Schipilliti, Mario Tedeschi Turco, Giovanni Tribuzio, Carlo Vitali)