Stimati co-accademici,

due giganti del pensiero musicale e musicologico moderno, i Signori Professori Luca Bianchini e Fernando De Luca, usano gloriarsi di appartenere all’antica Accademia dell’Arcadia. Di entrambi sono divulgati, con gran sfoggio di lazzi autoelogiativi e fantasie pseudoerudite, i presunti soprannomi arcadici: Chibia Luncani e Falerno Ducande, rispettivamente.

Sembra quasi di assistere a una seduta fra goliardi buontemponi all’Hostaria dell’Antiqvo Castello; e di certo il Falerno enologicamente inteso non sarà estraneo a certi fumi di nobiltà. Ma prescindiamo per un istante dai loro meriti artistici e scientifici, che la signora Taide definirebbe “grandi… anzi maravigliosi” (cfr. Inf. XVIII). Il Tubo rigurgita di commenti osannanti pur se non sempre esenti da iperbole, mentre i dissenzienti vengono messi a tacere con la cancellazione (anglice: banned). Il nostro punto di vista è noto e non occorre troppo ricamarci sopra; si veda ad esempio qui.

Ciò che qui mi preme sottolineare è la natura diciamo “autoreferenziale” di tale pretesa affiliazione. Sui soprannomi arcadici già scriveva nel 1763 il mio antenato spirituale Giuseppe Baretti, in arte Aristarco Scannabue:

[…] Chi vuol essere Arcade bisogna sappia assolutamente quante sillabe entrano in un verso, e quanti versi entrano in un sonetto senza coda […] e poi pagare uno scudo, o per dirlo con frase più poetica, dieci paoli, per ottenere una patente che ti baratti un nome di battesimo in un qualche nomaccio mezzo da pecoraio, e mezzo da pagano

Aristarco Scannabue (Giuseppe Baretti)
1763

I tempi sono cambiati e l’Arcadia romana non è più quella scuola “di futilità e di adulazione” deplorata da Aristarco I; ospita invece eletti studiosi quali Amedeo Quondam (Nicandro Alidonio), Claudio Magris (Abaristo Temidense) o Elena Sala Di Felice (Aurilla Gnidia).

Tuttavia da una lettura dell’albo dei Pastori viventi (che trovate a questo link) si possono ricavare alcune cose:

1) Gli Arcadi moderni non hanno rinunciato alla loro pittoresca tradizione onomastica, la quale prevede un nome personale grecizzante e un etnonimo indicativo dell’agro in cui pascolano le loro greggi virtuali. Esauriti i binomi nominali disponibili, si procede a riciclare quelli già appartenuti a soci defunti. Ad esempio Emilio Russo è stato ribattezzato “Artino Corasio” ossia successore di Pietro Metastasio; un onore non da poco.

2) Mai e poi mai si è saputo che il soprannome arcadico si possa coniare da un anagramma del nome reale. Chibia Luncani = Luca Bianchini e Fernando De Luca = Falerno Ducande sono pura soperchieria; se dolosa o giocosa decidano gli avvocati del sodalizio culturale romano. Un giustizialista potrebbe ipotizzare l’usurpazione di titoli o di onori (art. 498 Codice penale); ma, grazie al Logos, noi non siamo avvocati e sappiamo stare allo scherzo, purché sia spiritoso.

3) Né il De Luca né il Bianchini risultano a tutt’oggi iscritti all’Arcadia, né come soci corrispondenti né tanto meno effettivi.Per dirla con Baretti gli manca “la patente”.

4) Sorpresa: lo stesso si applica al Dr. Prof. Mario Valente, esperto di Metastasio e assiduo collaboratore del sito bianchiniano italianopera.org. Noi credevamo che il titolo di Artino Corasio redivivo toccasse a lui di diritto, ma si vede invece che le ingiustizie del diabolico establishment culturale non hanno mai fine!

[*] Virgilio, Bucoliche, VII, 4-5.