Questa prefazione eloquente è dedicata a chi promulga l’idea di una scuola italiana oppressa da un’ideologia prenazista e poi nazista, e poi neonazista, sparsa ai quattro venti da musicologi impressionisti e/o drammatici i quali, a differenza loro, occupano cattedre universitarie, in quanto lacché di un potere politico autoritario che nega l’autonomia dei popoli (quali? gli abitanti di Sondrio? e i neoborbonici in un’alleanza leghista ripugnante?).

Naturalmente i vari Bianchini-Trombetta-Amato, che dispensano insulti a chi ne confuta le tesi infondate e capziose, potrebbero sempre contestare anche ora, affermando (con faccia di bronzo che li contraddistingue) che queste parole vengono da un ebreo, prima che da un italiano, al servizio della demoplutocrazia. Naturalmente senza rendersi conto delle implicazioni di questa tesi demenziale, come nel caso di Einstein e Pergolesi. Lorenzo da Ponte — cittadino del mondo a differenza di questo terzetto — scrive in occasione della ripresa di Don Giovanni a New York nel 1826, col grande tenore Garcia / Garzia nella parte del giovane cavaliere estremamente licenzioso e Maria Malibran, sua figlia, nel ruolo di Zerlina.

Prefazione straordinaria, che fa vedere fra l’altro come anche allora la qualità dovesse lottare per emergere (vedasi l’appunto su Gazzaniga): solo che sta dall’altra parte rispetto a dove la collocano i summenzionati negazionisti. La parola spetta a loro: contestino da Ponte, come hanno fatto con Einstein, ma con argomenti seri, non con tesi ridicole.