In margine a una biografia filmata di Josef Mysliveček

di Carlo Vitali.

All’inizio del presente secolo la narratologa slovena Nadežda Starikova formulò un canone applicabile al romanzo storico, come pure a quei più modesti romanzi che sono i libretti d’opera, e magari anche al dramma parlato e al cinema: “Senza i fatti il romanzo storico cessa di essere storico, senza finzione cessa di essere romanzo”. Corollario: per definirsi riuscita e non scontentare troppo né il vasto pubblico né il cultore della materia, ogni historically-based fiction dovrà necessariamente includere elementi immaginari, ma solo nella misura in cui i fatti storici che pretende di rappresentare conservano un certo grado di accuratezza. Obiettivo di certo più facile a teorizzarsi che non a realizzarsi nella pratica.

Nel cinema a soggetto, in quanto distinto dal documentario, tale aureo bilanciamento andrebbe negoziato fra il produttore, il soggettista, il regista e il consulente storico; ma ripercorrendo la storia della Settima Arte dalle origini del sonoro ai giorni nostri si vedrà come il sottogenere del biopic dedicato ai grandi musicisti abbia sofferto forse più di altri per lo squilibrio di potere tra le figure sopraelencate. Limitandoci a un soggetto gettonatissimo come il “caso Mozart”, Bernhard Paumgartner e Neville Marriner non paiono aver influito granché con le loro competenze specialistiche su due prodotti di successo come Whom the Gods Love di Basil Dean (1936) e Amadeus di Miloš Forman (1984-2002). E in mezzo: tanti bio-panettoni confezionati con poche preoccupazioni di accuratezza musicologica, quali — citando solo quelli da noi effettivamente visionati — Melodie eterne di Carmine Gallone (1940), Wen die Götter lieben (1942) e Mozart : Reich mir die Hand, mein Leben (1955) di Karl Hartl, Noi tre di Pupi Avati (1984), Vergeßt Mozart di Miroslav Luther (1985), Interlude in Prague di John Stephenson (2017).

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Narrazioni talora apprezzabili per calligrafismo visivo e abile confezione della colonna sonora, talaltra irritanti per sentimentalismo a buon mercato o pretese dissacratorie; ma sotto il profilo dell’accuratezza storica? Dopo tante deludenti esperienze in bilico fra il riso isterico e l’imprecazione, qualche speranziella destava l’annuncio di una nuova pellicola dedicata a Josef Mysliveček, compositore boemo italianizzato che di Mozart fu tutt’insieme amico fraterno, méntore, concorrente e promotore, in un complesso rapporto che la recente monografia critica di Daniel E. Freeman [*] ha finalmente provveduto a liberare da molte superfetazioni mitologiche. Che il nome dello studioso americano fosse annunciato come consulente nei crediti della produzione pareva garanzia di un approccio finalmente più equilibrato; ed in effetti così è stato, seppure con alcuni limiti che accenneremo in conclusione.

I pregi innanzitutto. Se la ricostruzione biografica è linearmente corretta per quanto riguarda la cronologia degli eventi, la drammaturgia rispecchia con fedeltà la tipica architettura di un melodramma metastasiano: un’ouverture, una suddivisione in cinque atti con qualche subplot dai risvolti comico-patetici (o apertamente erotici per meglio accomodarsi allo spirito dei tempi nostri) e un epilogo aperto all’ottimismo.

Gli inserti musicali regalano al flusso narrativo un andamento del tutto privo di squilibri: musica, dialogo e immagini procedono di conserva in un connubio senza sbadigli. E che sontuosa colonna sonora! Ogni “atto” è accompagnato da scelta musica di Mysliveček, incluse intere scene delle sue opere oggi di rarissimo ascolto: Bellerofonte, Romolo ed Ersilia, Demetrio, L’Olimpiade. Suona l’orchestra barocca Collegium 1704 di Praga diretta da Václav Luks; cantano qualificati specialisti: Simona Šaturová, Emöke Baráth, Raffaella Milanesi, Krystian Adam, Giulia Semenzato, Juan Sancho. E inoltre il prezzemolino Philippe Jaroussky. Con tutto il materiale registrato, spesso in prima mondiale e al completo di scene e costumi, c’era di che realizzare un film di tre ore abbondanti; quanto è rimasto escluso dal montaggio o ridotto a citazione di frammenti sarà risarcito in un CD audio, che in 18 piste più altre 5 di bonus scaricabile si annuncia in imminente uscita su etichetta Erato.

La lunga marcia verso l’autenticità è perseguita senza risparmio di sforzi: riprese effettuate in luoghi originali o almeno equivalenti (Praga, Brno, Venezia, Thiene, Genova, Roma, Napoli, Palermo e Monaco); i dialoghi parlati soprattutto in italiano coi giusti accenti regionali e qualche prezioso arcaismo, meno presenti secondo contesto il ceco e il tedesco; illuminazione naturale o con effetto lume-di-candela. La recitazione, quasi mai gridata, si mantiene su un piano medio di contenuto decoro; si direbbe che a soffrirne sia anzitutto il protagonista Vojtěch Dyk, almeno fino all’ultima orrenda metamorfosi in zombie mascherato per coprire le devastazioni della sifilide.

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Una passività — a dire il vero — in contrasto con l’immagine offerta dal carteggio dei Mozart e altre fonti primarie, che rivelano in lui tratti di personalità espansivi e carismatici, nonché un attivismo ai confini con la manipolazione. A questo suo doppio filmico sembra invece più congeniale attendere con prudenza lo stimolo dei personaggi che lo circondano: insegnanti, impresari, mecenati e donne; tante donne invaghite di lui a vario titolo, dalle quali si lascia usare o che usa come gradini della scala verso il successo artistico e mondano. Figure femminili di ogni rango sociale dalla marchesa alla baldracca, ma tutte immaginarie ad eccezione di una: lo stellare soprano Caterina Gabrielli detta “La Coghetta”. Memorabile peraltro l’incarnazione iperrealistica di Ferdinando IV, il giovane “re lazzarone” dai deplorevoli costumi plebei ma non privo di sensibilità musicale e umana.

Volendo cercare il pelo nell’uovo, si potrebbe obiettare che le riprese in teatro rispecchiano solo marginalmente le pratiche settecentesche quanto a scenografie, movimenti e costumi. Nelle immagini delle ben imparruccate orchestre il maneggio degli strumenti originali deflette visibilmente dalla prassi esecutiva del tempo. Il Mozart fanciullo prodigio che nel 1770 sbalordisce Mysliveček improvvisando al fortepiano — Philip Hahn, classe 2009 — è sì prodigioso pianista anche nella vita reale, ma fa uso di uno stile  affatto moderno con tanto di ottave raddoppiate alla mano sinistra.

Il giudizio finale del musicologo è quindi positivo con riserva, mentre per il cinefilo che convive sotto lo stesso petto sarebbe piuttosto: gioiellino degno di ammirazione ben più di certe astute canagliate decorate a raffica da Oscar, Orsi, Leoni e altre consimili bestie dorate.

Carlo Vitali

[*] Josef Mysliveček, “Il Boemo”: The Man And His Music,Minneapolis, Calumet Editions, 2022. XVIII+683 pp., ill., es. musicali. Recensito sul presente sito: https://www.lesalonmusical.it/josef-myslivecek-il-boemo-the-man-and-his-music/

LA LOCANDINA

Titolo originale: Il Boemo

Paese di produzione: Repubblica Ceca, Italia, Slovacchia

Anno: 2022

durata: 2 h: 22′

Soggetto e regia: Petr Václav

Produttori: Jan Macola, Marco Alessi

Fotografia: Diego Romero

Scenografia: Luca Servino

Costumi: Andrea Cavalletto

Interpreti principali
Vojtěch Dyk: Josef Mysliveček
Barbara Ronchi: Caterina Gabrielli (voce recitante)
Simona Šaturová: Caterina Gabrielli (voce cantante)
Federica Vecchio: Cornelia
Elena Radonicich: La Marchesa
Lena Vlady: Anna Fracassati
Diego Pagotto: Orfeo Crispi
Ferdinando IV di Borbone: Mirco Ciccariello
Philip Amadeus Hahn: Wolfgang Amadeus Mozart
Christian Dieterle: Leopold Mozart
Lino Musella: conte di Noja
Salvatore Langella: conte di San Paolo