Trionfi di manipolazioni da genere “letterario”

di Mirko Schipilliti

 

Il capitolo I “L’amato dagli dei” del rotolone I introduce la questione del nazismo e delle sue supposte continuità che avrebbero diffuso a macchia d’olio il mito di Mozart, distorcendo e mutilando quanto ripreso impropriamente dal libro di Levi di cui abbiamo già anticipato il cattivo uso in un precedente Ahimè.
Ora leggiamo nuovamente su Mozart che «molte delle mistificazioni, che avevano interessato la sua persona e la sua musica durante il nazismo, furono presto dimenticate» (vol. I, p. 7), come se dovessimo nascondere la polvere sotto il tappeto, questo perché si omette in realtà – e in questo sono recidivi – quanto scritto da Levi poco più sopra nel proprio libro (E. Levi, Mozart and the Nazis: How the Third Reich Abused a Cultural Icon (Mozart e i nazisti: come il Terzo Reich ha abusato di un’icona culturale), New Haven, Yale University Press, 2010), ovvero che «per Mozart non c’era bisogno di essere riabilitato», e più importante ancora, che «la grandezza e l’umanità di Mozart erano in grado di trascendere gli orrori del nazismo» (Levi, p. 237), passo ovviamente opportunamente omesso. Bianchini e Trombetta rincarano poi la dose scrivendo che nel dopoguerra «i progetti che la propaganda aveva promosso ai tempi del Führer riemersero e molti dei libri nazisti furono ripubblicati» (vol. I, p. 7). Molti? E quali? A sostegno di questa tesi balorda citano di nuovo Levi impropriamente e mostruosamente semplificato in modo surrettizio: «”Le prefazioni alle partiture mozartiane del Ministero della propaganda hitleriano rimasero spesso intatte”» (vol. I, p. 7). Levi si riferisce in realtà alle ristampe dell’americana Dover, negli anni ’70 e ’80, delle edizioni tedesche della trilogia Da Ponte-Mozart risalenti al 1941, puro dato di cronica che nulla ha a che vedere con strascichi filonazisti, tanto meno con una tesi che ne avvalori l’esistenza. Questo poi è un loro refrain amatissimo, quando affermano in modo imperativo ed inequivocabile che «la musicologia tedesca ha cancellato e riscritto cento e più anni di storia della musica» (vol. I, p. 49) e si vuole far credere che la musicologia del dopoguerra pro-Mozart è neonazista, riducendo Mozart, il classicismo e l’essenza stessa del significato musicale a un rapporto tra musica e politica, concetto oggigiorno quanto mai anacronistico, e traslato sulla visione di Mozart addirittura paradossale e grottesco. La lettura del libro di Levi ci aiuta nuovamente a capire quanto nei due volumoni si scopiazzi malamente per montare teorie inverosimili e assurde. Nel citare il libro dei massoni di Johannes Dalchow, Dieter Kerner e Gunther Duda, Mozarts Tod 1791-1971 (Mainz, Eggebrecht Presse, 1971), appunto pubblicato nel 1971 (Bianchini e Trombetta citano questi autori dimenticando la data del libro e storpiando il nome di Dalchow in Diachow, vol. I, p. 39), dove si rilancia la tesi dell’assassinio di Mozart, Levi fa ben notare come, nonostante le loro teorie fossero state già emarginate nel 1991 da William Stafford nel suo Mozart’s Death. A Corrective Survey of the Legends (London, Macmillan, 1991, volume noto negli Stati Uniti col titolo The Mozart Myths. A Critical Reassessment, Stanford, Stanford University Press, 1991), «l’assoluta determinazione con cui Dalchow, Kerner e Duda perseguono le proprie idee appare inquietante, e accresce la fastidiosa questione sull’entità del danno di una propaggine neonazista verso gli studi tedeschi su Mozart nel dopoguerra». Che è ben diverso dal sostenere anche solo sfiorandola l’idea che la musicologia del dopoguerra sia neonazista o che voglia riscrivere la storia.
La storia – almeno così pare – la vorrebbero riscrivere Bianchini e Trombetta, proclamando che «l’oppressione è finita. È ora di riscrivere la storia della musica del Settecento secondo criteri di verità e non di propaganda nazionalistica» (vol. I, p. 49). E poiché le idee di Levi e Stafford non piacciono, si manipola Levi e si mistifica Stafford discreditandolo. Contestando infatti la teoria sull’omicidio di Mozart voluto dalla massoneria, i due sostengono che «quest’assurda teoria è stata appoggiata ed esposta in dettaglio da William Stafford» (vol. I, p. 39). Nulla di più falso, come abbiamo appena detto, poiché quello che fa Stafford molto semplicemente e più che correttamente nel suo libro consiste prima nello spiegare in modo iperdocumentato la storia di tutte le falsità mitizzate sulla morte di Mozart (in cui invece Bianchini e Trombetta affermano che egli creda) commentandole in modo retorico «queste sono le storie principali sull’avvelenamento. Sono dunque credibili?» (p. 43), e demolendole successivamente punto per punto, per concludere descrivendo proprio quello che ritroviamo nei due tomi, ovvero facendoci apparire indirettamente Bianchini e Trombetta come epigoni di quella letteratura complottista, i cui autori «accettano acriticamente il pettegolezzo più popolare contro i massoni […]. I loro racconti troveranno credito solo fra quei lettori le cui menti sono in sintonia alla teoria della cospirazione. Nessun argomento contrario convincerebbe tali lettori: essi considereranno semplicemente che la critica è stata essa stessa parte della cospirazione. […] La teoria dei tre dottori [Dalchow, Kerner e Duda] è un perfetto esemplare di un sistema chiuso con strategie attuate per proteggere se stesso contro una validazione scientifica» (pp. 47, 53).