Mozart e Mario Valente prima della folgorazione sulla via di Sondrio. Ritratto di un buonuomo

di Carlo Vitali

Caro Michele Girardi,

il Dott. Prof. Mario Valente non è un cattivo uomo, ma gli mancano due doti fondamentali per l’uomo di cultura: la capacità di pensiero indipendente e l’umiltà. In altre parole egli “giudica e manda secondo che avvinghia” senza curare di mettersi d’accordo con se stesso né tanto meno di colmare le proprie evidenti lacune nelle discipline in cui di volta in volta entra a gamba tesa.

La sua estraneità al dibattito musicologico serio si rivela fin dal sottotitolo della recensione che ha dato origine alla tua puntata 131, dove il Nostro parla di “musica tonale”, termine tecnico che non ha cittadinanza in questo contesto (e che ci racconta allora di quella modale, mensurale, atonale e seriale?) Più avanti lo trasforma poi in “arte tonale”, traduzione all’amatriciana del tedesco “Tonkunst”. Sostenere — com’egli fa con gran sfoggio di ritratti fotografici estranei all’assunto — che la Wiener Klassik sia un’invenzione della filmografia nazista sarebbe come introdurre il film The Gladiator nel quadro di una discussione storiografica sull’impero romano nell’età degli Antonini. La sua è soltanto una pedestre clonazione dai Rotoloni di Bianchini e Trombetta, dai quali copia perfino i refusi; col che si dimostra che l’antifascismo parolaio, al pari del patriottismo secundum il dottor Johnson, è l’ultimo rifugio delle canaglie. E gli sprovveduti ci cascano a piedi giunti.

Per il Valente, Buonuomo per eccellenza, l’ultimo che parla ha sempre ragione; salvo rimproverargli, a mo’ di stereotipa clausola cadenzale, di aver trascurato la funzione centrale dell’abate Pietro Trapassi detto Metastasio nella creazione di una cultura europea. Valutazione che in me desterebbe una certa solidarietà, ma che in lui assume i contorni di una vera monomania non suscettibile di verifica fattuale. Peggio ancora: la sua recente folgorazione sulla via di Sondrio cozza ridevolmente con quanto ancora su può leggere sul suo sito http://www.pietrometastasio.com a proposito dei fecondi rapporti fra le culture italiana e austro-tedesca dal Settecento in poi. A scanso di manipolazioni ho scaricato tutti i links in data odierna e tengo i relativi .pdf a disposizione di chi fosse interessato a simili pappolerie semierudite. Dunque cominciamo:

Nel 2006 il Valente filava d’amore e d’accordo con gli eredi del bieco imperialismo asburgico, i quali lo invitavano quale gradito ospite a certe merende viennesi sul cui gustoso catering mitteleuropeo posso testimoniare personalmente.

Pietro Metastasio poeta romano e Cesareo degli Asburgo ovvero Metastasio par lui-même. Relazione di Mario Valente per la presentazione di La tradizione classica nelle arti del XVIII secolo e la fortuna di Metastasio a Vienna, a cura di M. Valente e E. Kanduth, Artemide, Roma, 2003 (Vienna, 10 Ottobre 2006, Istituto italiano di cultura)

Dalla quale relazione si apprende quanto segue in lode degli Asburgo e del loro illuminato programma “etico-politico-estetico” (par quasi di leggere Benedetto Croce):

“[…] la scelta di Carlo VI nel chiamare presso di sé Pietro Metastasio è la conseguenza di una vera e propria condivisione artistico-musicale e politico-culturale, estetica ed etica da parte del poeta dell’azione riformatrice e di governo dell’imperatore nei confronti delle genti e dei popoli amministrati” […]

“Metastasio ha saputo conquistarsi già molti anni prima il ruolo di interprete delle finalità etico-politiche dell’Impero componendo nel 1740 il dramma Attilio Regolo, che rappresenta la sintesi del suo impegno artistico e dell’autentica e sincera promozione nell’opera italiana dei valori e degli obiettivi etico-politici dell’Impero”.

“Alla crisi di disincanto opposta dai nuovi ceti e classi sociali dell’impero all’universalismo etico-politico prospettato dagli Asburgo nel XVIII secolo, interpretato e reso metafora da Metastasio nella finzione scenica dell’opera italiana, non sfuggì neppure il genio musicale di W. A. Mozart. […] Peraltro, l’opportunità concessa a Mozart dai nobili praghesi e dall’impresario Guardasoni di mettere in musica una tra le opere serie di Metastasio più emblematiche dell’intrinseco rapporto etico-estetico con l’intera famiglia imperiale, in un momento di grave crisi dei rapporti tra il compositore e gli Asburgo, permise al salisburghese di appellarsi alla clemenza di Leopoldo II contribuendo a celebrare con la sua intonazione l’incoronazione a Praga dell’imperatore il 3 settembre del 1791. Metastasio era scomparso 9 anni prima, il 12 aprile 1782. W. A. Mozart moriva improvvisamente e inaspettatamente il 5 dicembre di quel 1791.”

Già; moriva “inaspettatamente”. Ed ecco la prima folgorazione del nostro Buon Uomo, questa stavolta sulla via di Imola.

http://www.pietrometastasio.com/PieroBuscaroliRequiem.htm
PIERO BUSCAROLI svela l’imbroglio del REQUIEM
Varese , Zecchini Editore, 2006, formato 13×23, pp. 109, €. 20.00
Gennaio 2008

“[Buscaroli] smonta e mette in berlina storiche operazioni della musicografia mozartiana risalenti al celeberrimo Hermann Abert (anche a danno del grande storico e filologo Otto Jahn, vero e degno biografo di Mozart, secondo il critico italiano), ma con la scoperta e lo studio di documenti di prima mano ed inediti, rinvenuti dallo stesso Buscaroli […]
Oggi, finalmente, l’apporto di Mozart al Requiem, di ben poco rilievo, è in via definitiva stabilito grazie alle notazioni e riflessioni di Piero Buscaroli confortato dalle confessioni-rivelazioni fattegli sia dall’attenta consultazione degli scritti di Friedrich Blume, dall’illuminato consiglio, negli anni, di amici come Giorgio Manera ed Ezra Pound, Winifred Von Mackensen, Maurizio Papini, per ultimo, sia, soprattutto, attraverso la copia della partitura, pubblicata in 2° edizione nel 1826 presso Offenbach a/M da Johann André.

[…] Appare in tutta la sua evidenza che la celebrazione del mito Mozart, ben più di ieri, ancora oggi assolve soprattutto alle funzioni di collettore dell’industria culturale, ovvero delle vendite discografiche nel grande circus dei concerti in ogni angolo del mondo globalizzato, sotto l’egida di un’egemonia della Wiener Klassik nel campo della grande tradizione sinfonica europea, oltre allo smercio di gadget e souvenir di ogni genere destinati al turismo di massa […] Sorpresa e perplessità che cadono se formuliamo l’ipotesi non peregrina che il Van Swieten abbia voluto corroborare, e per così dire, ufficializzare ad abundantiam e pubblicamente la leggenda e promuovere il mito di una fine di Mozart “naturale”, sfortunata, finanche tragica ma proprio in quanto essa raggiungeva il kammermusik [sic!] nel segno della gloria musicale della messa da morto, gloria appunto, con questa partitura, perseguita fino all’ultimo istante. […]

Al di la della sintassi lutulenta, vale la pena di ricordare che il suddetto libercolo, macchia nera nel catalogo del benemerito editore Zecchini, è un ammasso di bufale enunciate nel consueto tono burbanzoso da un manganellatore verbale non pentito che ancora nel 2005 si autodefiniva non già “un reduce di Salò”, bensì “un superstite della Repubblica Sociale Italiana in territorio nemico” (cfr. “Il Secolo d’Italia”, 16 feb 2016). Quanto alle pretese “confessioni-rivelazioni”, il catalogo dei confessori e martiri dovrebbe parere sconfortante a chi, come il Valente, denuncia oggi il mito di Mozart quale frutto di “revanchismo in campo artistico e culturale per il quale la superiorità del Geist tedesco sull’esprit de finesse delle democrazie liberali-parlamentari europee…”, e via spropositando nella sua citata recensione in ginocchio ai due Rotoloni. Davvero una bella gallery di liberaldemocratici quella dove figurano Ezra Pound, grande poeta ma per il resto lasciamo stare perché forse ha pagato oltre i suoi demeriti di pessimo maestro, poi l’avvocato di fiducia di Olga Rudge (compagna del precedente) e – dulcis in fundo – la vedova del generale delle SS Hans Georg Mackensen, Segretario di Stato del Reich agli affari esteri nel 1937 e ambasciatore tedesco a Roma nel 1942-43. Se Valente non fosse uno storico musicale di complemento dovrebbe sapere qualcosa della controversia infinita intorno al Requiem K. 626, cominciata nel 1825 e mai veramente conclusa. Dovrebbe aver consultato almeno un paio dei tanti studi recenti sull’argomento: Christoph Wolff, Simon P. Keefe, Ernesto Napolitano, Richard Maunder, David Black e altri. Inutile perder tempo coi tomi di tutti quegli accademici litigiosi: la verità vera l’ha scoperta “in via definitva” il Buscaroli leggendo il romanzo del giallista Francis Carr e raccogliendo il gossip viennese riferitogli con quasi due secoli di ritardo dai superstiti del Terzo Reich.

La genealogia Otto Jahn-Hermann Abert secundum Buscaroli (“grande storico e filologo” il primo, indegno mestatore il secondo) è a mio parere quanto di più perverso potrebbe immaginare il delirio di un avvinazzato, ma certo da chi decora Mozart con l’epiteto “il kammermusik” non si può attendere che abbia letto il Mozart di Jahn. I “documenti di prima mano ed inediti” scovati da Buscaroli sono pura fantasticheria; l’edizione André 1826 era già abbondantemente nota a tutti, se non altro per la stravagante pretesa dell’editore di Offenbach, concorrente della ditta Breitkopf, di retrodatare la composizione a prima del 1784! Giustamente Brahms non ne aveva tenuto alcun conto nella sua revisione del 1877 per la vecchia Mozart Gesamtausgabe. Mai vista tanta fuffa presa per oro colato da un recensore incompetente, che poi, procedendo de obscuritate in obscuritatem, tira fuori il circo dell’industria concertistico-discografica e lo smercio dei Mozartugeln come causa efficiente della Wiener Klassik. Ha plagiato lui Bianchini e Trombetta oppure viceversa?

Passa solo un mese e il Valente, voltate le spalle agl’infidi Viennesi, trova nuovi compagni di merende più prossimi a casa sua. All’epoca il civis romanus intratteneva ottimi rapporti con l’Istituto Storico Germanico di Roma, in cui il prefatore Friedrich Lippmann era stato direttore della Musikgeschichtliche Abteilung dal 1964 al 1996. In tale contesto non sorprende l’onorevole menzione di Wolfgang Osthoff, un musicologo tedesco che i coniugi Bianchini non includono nella loro lista nera di proto-nazisti, nazisti e post-nazisti, mentre dal loro punto di vista potevano farlo benissimo in quanto allievo del padre Helmuth (1896-1983). Sorpresa! Il compositore ligure-napoletano Pasquale Anfossi, concorrente di Mozart sulle scene teatrali viennesi, trova nella famigerata Muskwissenschaft pangermanica un pieno e cordiale riconoscimento.

http://www.pietrometastasio.com/Catalogo1.htm
BETULIA LIBERATA
Azione sacra di Pietro Metastasio – Musica di Pasquale Anfossi
Edizione critica a cura di Giovanni Pelliccia
Prefazione di Friederich Lippmann – Introduzione di Mario Valente
Febbraio 2008

“Il musicologo tedesco Wolfgang Osthoff, […] nel 1986, forniva un’analisi puntuale dello stile musicale di Pasquale Anfossi, contribuendo così alla piena valorizzazione del compositore: ‘La sorprendente vivacità, quasi parlante, degli strumenti nell’esprimere lo sforzato arrivo alla decisione, lo spiritoso realizzare del chiaroscuro nell’improvviso piano, dopo l’accento forte segno degli affetti ancora fra loro contrastanti […], tutto ciò corrisponde alla spontaneità parlante e spiritosa della poesia di Metastasio ed al misurato e ragionevole eroismo dei suoi personaggi. […] La musica religiosa [di Anfossi, n.d.r.] si rivela consorella della musica seria dell’epoca. […] Non vuole conservare e continuare uno stile del passato uniformemente indifferenziato, […] uno stile tetro e senza ragione. Vuole invece risvegliare gli umani affetti da una sonnolenza noiosa’”.

La sonnolenza prende invece me, caro Michele Girardi, per cui faccio sosta qui. Ma per la prossima puntata prometto a te e ai nostri ventidue lettori nuove rivelazioni sulle opere e i giorni del Mario Dr. Prof. Valente. Sono tragicommedie e gherminelle che mi coinvolsero talora in prima persona, per cui dovrò sforzarmi di non maramaldeggiare su quello che in ultima analisi reputo un Buonuomo sviato dalle cattive compagnie. Ma verso chi compie tali gesta non dev’essere diretto lo sdegno che si riserva ai forti, bensì il compatimento che spetta ai poveri di spirito (non nel senso evangelico).

CONTINUA