Per gentile concessione dell’editore Zecchini, pubblichiamo il seguente contributo di Carlo Vitali. L’articolo è stato pubblicato sul portale online della rivista «Musica».

Dopo annose discussioni in programmi di concerto, blogs e voci wikipediane in varie lingue, ecco scendere in campo buon ultimo l’appuntato Bianchini Luca da Sondrio con la “scoperta” e la “denuncia” di un nuovo reato a carico degli odiati Tedeschi. E come prova del misfatto ammannisce ai plaudenti ammiratori un video pescato su YouTube:

Luca Bianchini, 7 aprile [2017, fonte]:

Questa Fuga a quattro voci è di Gallario Riccoleno, anagramma di Arcangelo Corelli (1653-1713). La composizione di Corelli contiene il tema del celebre Allelujah [sic] del Messiah (1742) di Händel (1685-1759), che fu forse allievo di Arcangelo Corelli e che comunque l’ha copiata da lui (appropriazione indebita) limitandosi ad aggiungerci, trent’anni dopo la morte dell’Italiano, Allelujah!

Siffatto mattinale di questura ha raccolto fra i suoi webeti seguaci 24 condivisioni e 38 likes a bocca aperta, fra cui quello… di Luca Bianchini. I più saporiti:

X: grande Bianchini

Y: Incredibile!!!!

X (bis): ogni giorno che passa ci svela nuovi furti, che si aggiungono alla lista sterminata di ieri…………………….

X (ter): la Storia della Musica – dei secoli XVII e XVIII – sarebbe da riscrivere tutta, dalla A alla Z

Sul “Fatto quotidiano” gli fa da spalla il solito gazzettiere amico con un brandello d’intervistuzza: “Convinti sostenitori della tesi anti-handeliana sono infine Luca Bianchini e Anna Trombetta, il duo di musicologi che ha già fatto tanto discutere sulla scorta del doppio volume Mozart, la caduta degli dei: ‘Il Sassone […] ha profittato lì a Londra della poca conoscenza dei suoi contemporanei della musica del continente, per far passare composizioni d’altri come fossero pezzi suoi. Pensiamo ad esempio […] alla Fuga del Messia che non è del Messia, ma di Corelli’” [1] [cfr. l’articolo Disinformazione musicale di Mario Tedeschi Turco apparso su questo blog].

Promozione occulta di un libro in crisi di vendite oppure “obiettiva” sintesi giornalistica garantita da un virgolettato cui non segue il minimo tentativo di verifica critica? Comunque altrettanto se non più imprecisa del citato post bianchettiano che parlava di “tema del celebre Allelujah” (quale tema, ce n’è solo uno?), mentre ora ci si allarga alla Fuga del Messia (ancora una volta: quale fuga? Ce n’è più d’una in tutto l’oratorio). Partendo allora dai fatti, rivediamo un po’ le pulci alle opinioni dei due compari; tre con la consorte, che tace e dunque si presume consenziente. Il coro “Hallelujah” si estende su 94 battute; la fuga comincia a batt. 25 e utilizza due soggetti principali, il cui svolgimento s’intreccia a una quantità di altri temi e motivi. Il preteso plagio (o “appropriazione indebita”, fate voi) riguarderebbe il primo soggetto della fuga, che così si presenta nella versione del presunto Corelli anagrammato in “Gallario Riccoleno”:

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Es. 1: Il Trionfo / della pratica musicale / o sia / Il Maestro / dell’arte scientifica / dal quale imparasi non solo / il Contrappunto / ma (quel che più importa) / insegna ancora con nuovo e facile metodo / l’ordine vero di comporre / in Musica / Studio di Francesco M[ari]a Veracino / Opera III. 
Firenze, Biblioteca del Conservatorio, Mss. f/I/28-29. Vol. I, p. 148 “Esempio della Fuga vera con un soggetto solo di Gallario Riccoleno [in nota:] “Anagramma puro” e vol. II, pp. 25-27: “Fuga con un Soggetto Solo”.

Questo brano è scoperta recente? Va accreditato a gloria del Bianchini? Per nulla. Mario Fabbri l’aveva segnalato nel 1963, oltre mezzo secolo fa, sulla rivista dell’Accademia Musicale Chigiana; Hans Joachim Marx l’aveva pubblicato integralmente nel 5° volume della sua Gesamtausgabe corelliana (1976, pp. 82-85), inserendolo poi come n. 15 nell’Anhang (Appendice) di “Lavori dubbi” del suo Catalogue raisonné (1980, p. 236). D’ora in poi per comodità espositiva lo citeremo dunque come Anh. 15, e portino pazienza Bianchini & Trombetta, i quali alla musicologia tedesca attribuiscono i peggiori misfatti del Primo, Secondo e Terzo Reich, dalla A (Aquisgrana, pace di) alla A (Auschwitz).

Chi afferma che Anh. 15 sia di Corelli? Giusto quel Veracini che, nell’autografo del suo inedito trattato databile circa al 1758-60, insinua oblique accuse di plagio contro vari compositori coi quali era entrato in concorrenza sul mercato musicale inglese; primi fra tutti – vedi caso! – Händel per il teatro e Francesco Geminiani per il violino. Inoltre vi dispiega con pedante insistenza la polemica contro tutta la musica “moderna” (cioè fondata sull’armonia verticale e sul basso continuo; quindi anche la sua), in quanto frutto d’ignoranza nel contrappunto. Non è poi un mistero che Veracini, a prescindere dal suo multiforme talento musicale, fosse un toscanaccio amante della beffa oltreché sofferente di gravi disturbi caratteriali: una mania di persecuzione e un’ipertrofia dell’Ego che gli procurarono il soprannome di “Capo pazzo”. Fra i testimoni antichi si veda Charles Burney [2] e fra i moderni John Walter Hill [3]. Dunque testimonianza sospetta anche e soprattutto per via di quell’anagramma che pretenderebbe di dire e non dire. Marx, Hill e Thomas Walker [4] hanno collocato Anh. 15 nel limbo dei lavori dubbi e/o apocrifi, con vari gradi di scetticismo, spunti analitici e ipotesi ricostruttive la cui sfumata minuzia è lontana anni-luce dalle apodittiche sparate del signor Bianchini. Sarà stato un compito di contrappunto scolastico dettato da Corelli e finito chissà come nelle mani di Veracini, che non era stato suo allievo? Oppure lo avrà composto Veracini stesso, attribuendolo a Corelli per mettere in cattiva luce retrospettiva il proprio rivale Händel?

Si noti comunque che Anh. 15, a quattro parti di archi, si sviluppa uniformemente da un unico soggetto e consta di 62 battute; affermare – come fa il post del Bianchini – che l’intero coro händeliano risulti da un suo pedestre ricalco con la mera aggiunta di un “Hallelujah” è bestialità fin troppo evidente a chi conosca i primi rudimenti del solfeggio, anzi dell’aritmetica. Nulla di troppo grave. Ammettiamo per ipotesi di lavoro che l’abbia davvero composto Veracini; in tal caso un altro brano sicuramente corelliano potrebbe essere la fonte comune del presunto apocrifo fiorentino e del principale soggetto di fuga dell’Hallelujah.

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Es. 2: Arcangelo Corelli, Concerti grossi op. VI n. 1, penultimo movimento.

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Es. 3: Georg Friedrich Händel, Hallelujah, incipit della fuga sulle parole “for the Lord God omnipotent reigneth”.

In sintesi: gli esempi 1 e 3 hanno in comune l’agogica (Allegro), il metro (tempo tagliato), la tonalità (Re maggiore), il profilo melodico quasi identico e il doppio salto caratteristico di ottava sulle prime tre note della seconda battuta. Nell’es. 2 non cambia praticamente nulla, salvo che al doppio salto di ottava se ne sostituisce uno di quarta, alquanto meno drammatico. Ma in fondo – che Santa Cecilia ci perdoni – di cosa stiamo parlando? Di brandelli di una lingua e di un mestiere comuni a tutta un’epoca, ai quali si possono (ben che vada) applicare concetti quali “reminiscenza”, “citazione”, “omaggio” e simili; non certo la categoria avvocatesca di “plagio” né la pretesa romantico-avanguardista dell’originalità ad ogni costo, anche quando il risultato non ne giustificherebbe la fatica.

Nella più celebre pagina di Händel c’è ben di più. L’esperienza da lui già accumulata nell’anthem celebrativo gli detta nell’Hallelujah un brano estremamente articolato e orchestrato con ricchezza, dove – per citare Charles Burney a proposito di un altro passo dell’oratorio (il grandioso Amen conclusivo, n. 48) – “il soggetto viene diviso, suddiviso, rovesciato, contornato da vari controsoggetti e sottoposto a varie soluzioni di ordine melodico, armonico e imitativo, tanto ingegnose quanto nascoste”. Si veda ad esempio il controsoggetto che, dopo una breve sezione omofonica, entra nei bassi alla batt. 41 sulle parole “and He shall reign for ever and ever”,

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Es. 4A: Georg Friedrich Händel, Messiah, coro Hallelujah, b. 41 sgg.

poi si sviluppa fino alla risoluzione cadenzale di batt. 51 dove si mescola con un nuovo soggetto a note lunghe e ribattute (“King of kings”), nonché ad una ripresa dell’“Hallelujah” iniziale che finisce per attrarre nel suo disegno ritmico buona parte dei materiali precedenti.

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Es. 4B: ivi, b. 50 sgg.

Anche per il tema di “and He shall reign” la letteratura tira in ballo un possibile imprestito, stavolta da un cantorale tedesco del tardo Cinquecento che il luterano Händel, al pari di Bach, “non poteva non conoscere”.

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Es. 5: Philipp Nicolai, corale “Wachet auf” da Der Frewden-Spiegel des ewigen Lebens (1599).

Pure qui abbiamo una sequenza di salti di quarta con chiaro valore tematico. E se domani un ipotetico Herr Dr. Piankinen, emulo teutonico dei revisonisti di rito sondriese, ci raccontasse che non solo Händel, ma pure il Corelli dell’op. VI ha plagiato il corale di Nicolai?

Scherzi a parte: un’ulteriore bufala del Dulcamara Nostrano, megafonata senza commenti dal Basciano Quotidiano, merita di non restare impunita. Ricitiamo: “Il Sassone […] ha profittato lì a Londra della poca conoscenza dei suoi contemporanei della musica del continente, per far passare composizioni d’altri come fossero pezzi suoi”. Per non parlare di altri autori, è proprio con Corelli che il teorema crolla rovinosamente sulla testa del suo autore. Scriveva intorno al 1710 Robert North: “Desta meraviglia vedere che lo strimpellamento di Corelli regna dappertutto; non si gusta altro che Corelli”. Tutte le sue sei collezioni edite erano già state ristampate in Inghilterra entro il primo quindicennio del Settecento. Vi si aggiunsero arrangiamenti, parafrasi efalsificazioni in tutte le salse a beneficio del mercato dei dilettanti, i quali – più che altrove in tutt’Europa, Italia compresa – stimavano Corelli un ghiotto ingrediente per le loro numerose societies strumentali a Londra e in provincia: Dublino, Oxford, Bath, Winchester, Nottingham, York, Manchester, Newcastle, ecc., ecc. Le gazzette ne pubblicizzavano fedelmente l’attività, e nientemeno che a due re della Gran Bretagna, Giorgio I e Giorgio II, furono dedicati gli arrangiamenti a concerto grosso di Geminiani dall’op. V del suo ex maestro Corelli (1726 e 1729). Tutto ciò ben prima del Messiah (1742). L’op. VI, fonte del presunto plagio nell’Hallelujah, fu ristampata a Londra da Walsh & Hare addirittura nel 1715, un anno dopo la princeps di Amsterdam. Agli odierni sgangheratissimi dilettanti di musicologia si consiglia almeno di leggere l’ottima quanto agile monografia di Peter Allsop alle pp. 188-199. [5]

In tali circostanze, a Händel sarebbe stato tecnicamente impossibile occultare un “furto” ai danni dell’illustre collega defunto; non così per un aperto omaggio alla sua memoria, che il pubblico più avvertito poteva ben riconoscere e gradire. Si ricordi che a Roma nel 1708 il giovane Händel aveva preso in prestito da Corelli un motivo della sonata op. V n. 10 per farne un’aria dell’oratorio La Resurrezione: “Ho un non so che nel cor”, poi confluita nell’Agrippina veneziana del 1710 come aria di baule per il soprano Margherita Durastanti. La circostanza che in quell’occasione Corelli fosse vivo e vegeto; anzi presente in veste di direttore al primo violino – e non risulta che abbia spezzato l’archetto sul capo del “caro Sassone” – fa pensare a una doverosa rettifica del paradigma poliziesco tanto caro ai profeti del revisionismo in chiave di pulizia etnica. Mettiamola così: molte citazioni musicali molto onore; e se arrivano dell’estero? Onore doppio.

Ma all’appuntato Bianchini Luca questi devono sembrare misteri indecifrabili. Come una mucca davanti a una porta dipinta di fresco (nostro plagio da Martin Lutero) lui si pianta a zampe larghe di fronte a un soggetto di fuga e muggisce: “Vergognoso plagio!” “Furto!” “Appropriazione indebita!”. Sono fesserie e miserandi trucchi da baro di carte, pretenziosamente enunciati con la beceraggine di un leone da tastiera più dedito alla frequentazione di YouTube e della fiction tipo Dan Brown che non delle partiture o della letteratura musicologica seria. Conosciamo già la sua risposta: “A furia di ricercare il sempre più piccolo e trascurare le ragioni delle cose, gli accademici finiranno con l’occuparsi del sempre più piccolo e infine del nulla.” [6] E infatti lui va alla ricerca di grandi sintesi storiche dove la “ragione delle cose” sarebbe una rimasticatura involgarita delle vecchie tesi nazionaliste di Fausto Torrefranca: l’Italia ha inventato tutto e i perfidi stranieri ce l’hanno rubato, il Classicismo viennese è un’invenzione asburgico-massonico-nazista, Mozart era solo un mediocre pianista incapace di comporre senza copiare, e via delirando. Pur con tutte le sue buone intenzioni umanitarie, quanto è stato funesto l’errore di Franco Basaglia!

Note

[1] F. BASCIANO, Quel gran copione del signor Georg Friedrich Händel, “Il fatto quotidiano”, lunedì 10 luglio 2017, p. 14.

[2] A General History of Music, Londra, vol. III, 1789, passim.

[3] The Life and Works of Francesco Maria Veracini, Ann Arbor, UMI Research Press, 1979, passim.

[4] H. J. MARX, opp. cit., loc. cit.; J. W. Hill, op. cit., pp. 300-304; T. WALKER, Due apocrifi corelliani in Nuovissimi studi corelliani. Atti del terzo congresso [“Quaderni della Rivista italiana di musicologia”, VII (1982)], pp. 381-401.

[5] Arcangelo Corelli: ‘New Orpheus of Our Times, Oxford University Press, 1999; Sull’ampia disseminazione in Inghilterra della musica italiana, vocale e strumentale, fin dal Seicento si possono consultare vari scritti monografici di Jonathan Wainwright (Università di York); per il Settecento lo stato dell’arte, riferito anche ad altri paesi del Continente, è riassunto da un freschissimo reader a cura di David Wyn Jones: Music in Eighteenth-Century Britain, Aldershot, Ashgate, 2017.

[6] L. BIANCHINI, intervento alla tavola rotonda La musica massonica, identità di un repertorio, Milano, Palazzina Liberty, lunedì 20 maggio 2002.