Sei ragli sul Flauto magico

Anticipazioni su un libro inedito dei signori Bianchini e Trombetta (prima puntata)

di Carlo Vitali

Il premiato duo di fantasisti Bianchini-Trombetta (d’ora in poi: B&T, oppure i Sondrioti) sta pubblicizzando da qualche settimana l’imminente sortita di un nuovo tomo autoprodotto dal titolo Il flauto magico. Nell’attesa tutt’altro che spasmodica di nuove rivelazioni sulle frodi messe in atto dal Salisburghese onde assicurarsi una fasulla immortalità all’ombra della svastica, abbiamo pensato di enucleare e commentare alcune scempiaggini già contenute nello scarno capitolo 26, intitolato anch’esso “Il Flauto magico”, della loro Caduta degli dei, vol. II, pp. 338-347 (d’ora in poi: Rotolone II). Come ben sanno i dotti autori, noi li leggiamo con dedizione da oltre un anno, non senza grave dispendio in energia elettrica, caffè e sigarette, al solo scopo di svelare al pubblico – e talvolta a loro stessi – le abissali profondità della fantamusicologia revisionista di rito trevigiano-sondriese (d’ora in poi: bubalistica, dal latino bubalus, genere bovidae, sottospecie insipiens). Delle due l’una: o queste umili note giungeranno a loro conoscenza prima del definitivo imprimatur, oppure no. Nel primo caso avremo adempiuto il precetto di misericordia spirituale “insegnare agl’ignoranti”, risparmiando altresì ai loro innocenti lettori una minima frazione delle bufale in attesa di riciclaggio. Nel secondo si avrà la conferma della metafora apostolica “canis reversus ad suum vomitum” (II Pietro, 2, 22). Sperando vivamente di essere smentiti, riteniamo che il secondo scenario sia di gran lunga il più probabile; ma non si sa mai. Il contrario sarebbe il massimo prodigio dell’era moderna dopo le apparizioni di Fatima. Ovvero, più laicamente, dopo la concessione di Mark Zuckerberg: “You can leave Facebook if you want” (cit. in “The Guardian”, 13 aprile 2018).


RAGLIO PRIMO

Lazzi e carrettelle

Rotolone II, p. 63: “Quando oggi Gernot Gruber s’interroga ‘se Il flauto magico non abbia qualcosa che l’accomuni ai modelli shakespeariani’, avendo Schikaneder (il quale sapeva a mala pena leggere e far di conto) ‘recitato molto Shakespeare’, egli ripercorre strade già battute con successo dalla peggiore pubblicità nazionalsocialista”.

Ibid., p. 339: “L’istruzione di Schikaneder arrivava appena alle arti di scrivere e fare di conto” […]

La fonte della seconda affermazione è data in nota come: “BIANCHINI, TROMBETTA (2017)”, ma senza numero di pagina. Così, offrendo l’ennesima riprova di scarsa familiarità con le tecniche più elementari della scrittura saggistica, i Sondrioti svicolano con un buffonesco lazzo autoreferenziale coronato dalla solita carrettella sul nazismo. Antifascismo ultimo rifugio dei bricconi, giusto per parafrasare Samuel Johnson. Per rendersi conto della soperchieria basta un’occhiata ai titoli e alle date di pubblicazione che qui andiamo ad esporre.

Il viennese Gernot Gruber, in un suo documentato ed ironico volume dedicato alla storia della ricezione mozartiana [1], rintraccia le radici del parallelo Shakespeare-Mozart in autori dell’età romantica quali (elenco non esaustivo) Clemens von Brentano, Tieck, Grillparzer, E.T.A. Hoffmann, Stendhal, Schumann. Tutti agenti della propaganda nazista? Fuori dalle vaghezze di un topos poetico destinato a lunga fortuna, puntuali corrispondenze narratologiche fra i personaggi della Zauberflöte e quelli della Tempesta di Shakespeare furono già proposte da Dent [2] Komorzynski [3], Bloch [4] e Kunze [5]: Sarastro = Prospero, Tamino = Ferdinando, Pamina = Miranda, Papageno = Ariel. Sorprende che, trattando del Flauto magico, i signori B&T ignorino del tutto il fondamentale volume del Kunze, benché disponibile in traduzione italiana; peraltro citano 46 volte quello, sicuramente meno attuale, del Dent. Lo avranno poi letto davvero?

Passando dal piano ermeneutico a quello fattuale, che Schikaneder abbia “recitato molto Shakespeare”, naturalmente in traduzioni e/o adattamenti tedeschi, è dimostrato dalle cronache teatrali del tempo nonché dai recenti contributi biografici di Honolka [6] e Sonnek [7]. Da essi si apprende che Schikaneder, benché figlio di madre vedova che campava vendendo rosari nel Duomo di Ratisbona, frequentò il locale ginnasio gesuitico dove l’insegnamento si teneva in latino, e che ricevette anche un’istruzione musicale da Johann Josef Michl, Kapellmeister dello stesso duomo. Il catalogo dei suoi scritti consta di 55 lavori in prosa e versi più 44 libretti d’opera e di Singspiel. Per un quasi analfabeta non c’è male. Si sarà fatto leggere i copioni altrui per impararli a memoria? Avrà dettato i propri a uno scrivano? Difficile crederlo, ma esiste la prova tabulare del contrario in un documento scoperto di recente nel registro battesimale della basilica viennese di Sankt Karl (tomo 3, fol. 16, 30 sett. 1790). In veste di padrino per il figlio di un suo dipendente, il Nostro si firma “Johann Emanuel Schikaneder” e si qualifica “K:[aiserlicher] priviligirter Schauspielunternehmer auf der Wieden”, ossia “Impresario di spettacoli con privilegio imperiale [al Teatro] auf der Wieden”[8]. La grafia, assai sciolta e corredata di qualche svolazzo elegante, è naturalmente la Kurrentschrift, versione manoscritta corsiva del cosiddetto “gotico” [FIG. 1]. Per di più, come capocomico e impresario che accumulò una cospicua fortuna prima di perderla in seguito ai rivolgimenti dell’era napoleonica e al mutamento dei gusti del pubblico, c’è da credere che i conti sapesse farli abbastanza bene.

FIGG 1+2

FIG. 1 — Firma autografa di Schikaneder © Michael Lorenz.


RAGLIO SECONDO

Come ti plagio lo studente, ovvero “quel casinetto è mio”

Rotolone II, p. 339: “Pergolesi fu uno degli autori a cui Mozart decise di ispirarsi, e l’utilizzo di questi spunti per comporre è ancor più giustificato se si considera che Schikaneder rinchiuse il compositore in una piccola casa accanto al palazzo Mirabell, obbligandolo a finire in pochi mesi l’Opera. Che sia vero o no, è comunque appurato che Il flauto magico fu composto tra la primavera e il luglio del 1791, in un periodo che va da tre ai quattro mesi. Non sorprende dunque che Mozart sia ricorso, seppur rimaneggiandole, ad idee altrui per far fronte agli impegni”.

Come riferimento si cita (n. 1156 e richiamo in bibliografia): Aram SHABBAZIANS (2009), “Mozart, Pergolesi, Clementi, l’Ouverture del Flauto Magico a sei mani”, Il Cantiere musicale, rivista del Conservatorio Niccolò Paganini di Genova, Genova, a. 4 n. 13. Gratta la citazione bubalistica e trovi le magagne: B&T trapiantano di peso l’intero passo senza virgolettarlo (tecnicamente è un plagio bello e buono), scorciano alla buona i dati emerografici [recte: anno IV, n. 13 (IX/44), pp. 22-3; peccatuccio veniale in confronto al resto], e per gradire storpiano anche il cognome dell’autore: Shahbazians, di evidente origine armena, e non “Shabbazians”. Ma c’è di peggio: col loro naso avido di ogni puzzetta scandalistica, i due Sondrioti enucleano da un articolo non povero di pregi l’unico punto davvero debole, e quello soltanto. Se l’identificazione di una possibile fonte pergolesiana (una piccola Sinfonia per quartetto d’archi, non datata) è ipotesi interessante ma ardita – dato che l’unicum manoscritto si trova alla Biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia e che nel carteggio della famiglia Mozart la sola menzione del maestro napoletano riguarda una Serva padrona da rappresentarsi a Salisburgo in traduzione francese – il Shahbazians dà comunque prova di acume critico analizzando passo per passo l’ouverture mozartiana nei suoi procedimenti tematico-armonici per compararla con la nuova fonte da lui proposta  e con quella già nota da tempo (Muzio Clementi, Sonata Op. 24, n° 2).

La conclusione del suo serrato ragionamento si distingue per un equilibrio che al contrario difetta cospicuamente in tutta la scuola bubalistica, incline a bollare come “vergognoso plagio” qualunque minima somiglianza motivica di tre-quattro note. Così il giovane autore: “Questa scoperta non sminuisce affatto l’Ouverture del Flauto Magico, che oltre a scostarsi notevolmente dal livello della composizione di Pergolesi, rimane permeata di una carica emotiva molto alta. […] Nel complesso l’Ouverture non può essere catalogata come plagio al pari dei tre concerti per pianoforte K 107 (ricordiamo però che non furono pubblicati), nati dalle sonate dell’op. 5 di J.C. Bach, proprio per la sua natura rielaborativa. I temi utilizzati vengono trasfigurati e dilatati nel tempo e nell’armonia, diventando una musica a sé stante, totalmente scissa dalla sinfonia di Pergolesi e dalla sonata di Clementi”. L’intero articolo, il cui autore non ha motivo di lodarsi del falso ideologico perpetrato ai suoi danni, è leggibile all’indirizzo: http://conspaganini.it/sites/default/files/upload/doc/Pubblicazioni/IL CANTIERE n. 44-2009.pdf

Di tali valutazioni non v’è traccia nel cannibalesco stralcio dei plagiari sondrioti, che invece trangugia supinamente due errori storici. In primo luogo: chiunque abbia studiato in sede storica il sistema produttivo dell’opera italiana, da Monteverdi al primo Verdi, sa per certo che un tempo di elaborazione “dai tre ai quattro mesi” sarebbe stato considerato indice di generosità addirittura favolosa da parte del committente. Altrettanto se non più vale per un teatro come l’Auf der Wieden, che sfornava novità a getto continuo sotto l’impulso del vulcanico Schikaneder. Secondo la puntuale ricostruzione cronologica del Deutsch, queste furono le fasi del lavoro di Mozart alla Zauberflöte: inizio della composizione nel maggio del 1791, strumentazione del primo atto a fine giugno, confessione di uno stallo creativo il 7 giugno (lettera alla moglie Constanze, assente per cure termali). In quello stesso mese gli sopraggiungono due nuove commissioni: La Clemenza di Tito per Praga e il Requiem da parte del conte Walsegg-Stuppach, sicché la composizione della Zauberflöte deve segnare il passo. Essa è finalmente ultimata il 28 settembre, due giorni avanti la prima rappresentazione sotto la direzione dell’autore. In quei quattro mesi abbondanti si collocano molti andirivieni fra Vienna e le terme di Baden, la nascita di un figlio, un lungo soggiorno in Boemia, continue ricerche di prestiti finanziari, pranzi e cene con amici, qualche seduta in Loggia, qualche spettacolo, visite di ammiratori inglesi e russi. Tutt’altro che una vita da recluso. E se mai quella clausura ebbe davvero luogo – Hermann Abert ne è certo, Alfred Einstein ne dubita seriamente, Bernhard Paumgartner vi ambienta allegre bisbocce con amici e amiche del clan Schikaneder – non riguardò di certo tutto quel periodo, semmai soltanto le due ultime febbrili settimane dopo il ritorno da Praga. Quanto al luogo della presunta incarcerazione, dimentichiamo pure il palazzo Mirabell, residenza sussidiaria del principe-vescovo Colloredo. Già: a Salisburgo, dove per Wolfgang tirava ormai una brutta aria. Il cosiddetto “Zauberflöten-Häuschen”, un angusto padiglione di legno che prima sorgeva in un giardino accanto al Theater auf der Wieden, vi fu trasportato da Vienna solo nel 1873 come omaggio del principe Starhemberg (proprietario dell’area fabbricabile da sgomberare) alla Fondazione Mozarteum. Rimontato in un primo tempo sul boscoso Kapuzinerberg, fu restaurato dopo la seconda guerra mondiale e nel 1950 ha raggiunto la sua posizione attuale all’indirizzo im Bastionsgarten, Schwarzstraße 28, dove è visitabile nei mesi estivi [FIG. 2].

Di solito così sprezzanti nei confronti dell’aneddotica mozartiana, da loro etichettata come instrumentum regni ad uso di Goebbels e compagnia scellerata, i signori B&T stavolta ci sono cascati a piedi pari. Suvvia, facciamo una colletta per offrigli un viaggio-punizione a Salisburgo, ridente cittadina che da Vienna dista, oggi come allora, un po’ più di 300 chilometri.

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FIG. 2 — Salisburgo: Il “Zauberflöten-Häuschen”  (Casinetto del Flauto magico).


NOTE

[1] Mozart und die Nachwelt, München, Piper, 1987 (2.a ediz.); trad. it. La fortuna di Mozart, Torino, Einaudi, 1987, passim.

[2] Edward J. Dent, Mozart’s Operas, Oxford, University Press, 1913-1947; trad. it. Il teatro di Mozart, Milano, Rusconi, 1979: alle pp. 366-7.

[3] Egon von Komorzynski, Emanuel Schikaneder: Ein Beitrag zur Geschichte des deutschen Theaters, Wien-Wiesbaden, Doblinger, 1951: a p. 210. Komorzynski (Vienna 1878 – ivi 1963), allievo di Guido Adler, fu storico, filologo, critico musicale e docente universitario. A seguito dell’Anschluss fu privato di ogni incarico ufficiale.

[4] Ernst Bloch, “Die Zauberflöte” und Symbole von heute, in Verfremdungen I, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1965, pp. 97-103. Nel 1938 il Bloch, di origini ebraiche, era fuggito dalla Germania verso gli Usa. Nazista anche lui?

[5] Stefan Kunze, Mozarts Opern, Stuttgart, Reclam-Verlag, 1984; trad. it. Il teatro di Mozart, Venezia, Marsilio, 1990: alle pp. 727-8.

[6] Kurt Honolka, Papageno. Emanuel Schikaneder. Der große Theatermann der Mozart-Zeit, Salzburg-Wien, Residenz-Verlag, 1984.

[7] Anke Sonnek, voce “Schikaneder, Emanuel” in: Neue deutsche Biographie, Berlin, Duncker & Humblot, vol. 22 (2005), pp. 753-754.

[8] Michael Lorenz, Neue Forschungsergebnisse zum Theater auf der Wieden und Emanuel Schikaneder in: “Wiener Geschichtsblätter”, 4/2008, pp. 15-36).

 

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