Ai suoi avventori l’oste Lucamara (in arte Chibia Luncani, compositeur du dimanche) mesce vino da vertigini. E loro bevono. Con la tecnica sciamannata della pesca sul Tubo, così sbotta ad esempio il clavicembalista travesti Fernando De Luca, autonominatosi pastorello d’Arcadia sotto il suggestivo pseudonimo di Falerno Ducande: «Caro Wolfgang, il tuo Requiem così famoso e che oggi tutti osannano come capolavoro assoluto, come pensi possano considerare coloro che ti venerano questo di Requiem… Ora i soliti vecchi tromboni diranno ecco un altro che vuole distruggere la tua sacra icona… Ma no nessuno ti vuole distruggere… Solo che non sei l’unico genio che è esistito su questa valle di lacrime e di vecchi Tromboni che scrivono scrivono e ancora scrivono… il nulla cosmico…» [sintassi dell’Autore, ndr]. E a corroborare il suo nichilismo da tre kopeki ti spara il link a uno fra i quattro Requiem (in Re minore, ZWV 48) del boemo Jan Dismas Zelenka, vice-maestro di cappella alla corte di Dresda.


Il Falerno, vino archeologico molto bevuto a Pompei, può dare alla testa; ricordiamo l’avvertimento di Plinio il Vecchio «Tria eius genera: austerum, dulce, tenue». Tutti possono preferire un vino ad un altro, oppure un’epoca o un compositore ad altri. Ma non costruirci sopra una capziosa fantasticheria come fa il signor Falerno De Luca, il quale cita un altro Requiem in re minore: del 1731 circa, scritto perciò 60 anni prima. E si sente, visto che Mozart eredita modalità espressive antiche piegandole a un’espressività del tutto nuova. Ha presente il trombonesco signor Ducande la dialettica del «Confutatis / Voca me» lasciato in abbozzo dal Salisburghese ma già carico di tensioni drammatiche ignote, giusto per fare un esempio, al probo Kapellmeister Luchesi?


Naturalmente non poteva mancare il riscopritore dell’uovo sodo: «il Requiem di Mozart non è di Mozart, in gran parte. Ma questo è assodato», sentenzia Rosario Peluso. Del Requiem KV 626 si sanno ormai morte e miracoli, e dire che non è tutta musica di Mozart è appunto «assodato». Sul tema esistono intere biblioteche (qui un riassuntino didattico alla portata del bufalaro medio https://mozartaccademiadellabufala.com/2017/10/16/3132/).


Ma è l’uso distorto del paragone a non funzionare. Il Requiem è una forma standard nel repertorio delle cappelle musicali cattoliche. Sicuramente sono in molti nella schiera degli «ascoltatori semplici» a meravigliarsi nel momento in cui apprendono l’esistenza di un altro Requiem nella storia della musica oltre a quelli, frequentatissimi, di Mozart, Verdi e Fauré. Tutta gente che si può stupire pescando un Requiem qualsiasi dai più di milletrè che furono composti a partire dal medio Quattrocento. Questo di Zelenka è tutto molto regolare e decente, senza stramberie né memorabili colpi di genio. Mentre sicuramente vale la pena di riscoprire (elenco non esaustivo) quelli di Jommelli, Cimarosa, Biber, Kerll, Victoria, Campra, Lotti, Charpentier, Michael Haydn: tutti dotati di un’impronta inventiva che li rende opera artistica e non meramente artigianale.


Di musica importante che di fatto non esiste per chi la fruisce soltanto attraverso il Tubo e i CD esiste una quantità mostruosa; dire che se un lavoro è poco eseguito si tratta di «complotto» è giusto un chiacchiericcio da Osteria della Bufalotta. E il fatto che questi buontemponi giochino a dire «Ehi, ma questo Requiem di Zelenka presenta alcune piacevoli successioni di accordi» per concludere: «può stare alla pari con quello di Mozart» sarebbe come accostare a un Canaletto un quadro di nonno Aristide, chimico in pensione che per passare il tempo si era dato a dipingere scorci veneziani. Con risultati assai decorosi; però se qualcuno gli avesse detto che era un genio della pittura sarebbe stato lui per primo a ridergli in faccia.


Dove si schiamazza di musica non poteva mancare il signor dottor Giuliano Dal Mas, dilettante dell’universo scibile che i suoi curricula definiscono «appassionato di giornalismo, cultura e storia, poesia e arte, musica classica, montagna e fotografia», nonché «autore di una trentina di pubblicazioni tra cui molte di montagna». Ecco qua il suo alato appello in istile necromantico «proviamo ad ascoltare il Miserere di Luchesi… proviamo… dicono che lui sia il maestro di Beethoven… dicono che abbia venduto le sue composizioni a Haydn e a Mozart… dicono che le sue opere che non si trovano più siano confluite nelle oltre 600 composizioni di Mozart notoriamente donnaiolo e poco disponibile al lavoro… dicono… e poi… come faceva Haydn afflitto da un senilità con demenza a creare i suoi ultimi capolavori ? Luchesi…. se mi ascolti batti un colpo… dove sono finiti i tuoi lavori? eri il maestro di Cappella di Bonn…. possibile che di te conosciamo solo le opere realizzate in Italia e che poi tutto o quasi tutto sia svanito?»


E via rimasticando bufale ormai dimolto inacidite come quella dell’illustre idiota Haydn, frutto di caprina incompetenza storico-linguistica della setta taboghiana come già si è argomentato su queste nostre pagine. L’autore dell’imperdibile volume Divagazioni dolomitiche (2018), lo storico dell’arte che confonde il pittore Jacopo Da Ponte detto «Il Bassano» (1510-1592) col librettista Lorenzo Da Ponte (1749-1838), l’entusiastico ascoltatore della «sinfonia in c major» di Luchesi sarà senz’altro un brav’uomo, ma in fatto di cultura umanistica sembra – ci perdoni – alquanto orecchiante, benché nobilmente pronto al martirio per le sue poche ma confuse idee: «Mi sentirei privilegiato se fossi scomunicato». Per carità, dottore; può stare tranquillo perché il cardinal Bellarmino non abita fra noi.


Piuttosto, considerando che Lei dev’essere ben fornito di chiodi da roccia, Le consigliamo una rapida discesa a corda doppia dalle vette della filosofia musicale alla pianura della concretezza, dove La attendono festosi gli «enofili» e gli «enonauti» della nobile provincia bellunese, assidui frequentatori delle sue conferenze. Indirizzi: Enoteca Ferrari, Top 90, Osteria del Vicoletto, Ristorante Bacchetti di Piz Camolino, Rifugio Col di Roanza, ed altri ancora. Prosit!