Dialogo accademico informale, con materiali su un critico controcorrente

In un sito piuttosto pretenzioso, che distribuisce false verità a clienti bramosi di complotti, si vede una testata imbarazzante.

I gestori della pagina vorrebbero paragonare la loro azione a una «rivoluzione copernicana», e per avvalorare il paragone citano il parere di un lettore.

Ma l’agudeza si ritorce loro contro: di chi sarebbero i commenti, di chi critica il libro omonimo oppure dei due musicologi cum laude? Tra i pareri sottocitati, a gloria dell’intrapresa, vi è quello di uno studioso celebre per i suoi studi sul Jazz e la musica nera – materia non proprio limitrofa alla letteratura critica su Mozart.

Giustamente il sostenitore nota che il lavoro non è agiografico – e su questo non c’è proprio dubbio: vi si nega la grandezza di Mozart a tutto spiano [1]… Così come non ci sono incertezze sul corredo di note per ogni affermazione, anche quella che a un normale appassionato sembra solo una balordaggine. Solo che nella stragrande maggioranza, per non dire nella totalità dei casi, sono artatamente montate per sviluppare argomentazioni fallaci.

Mi permetto di aggiungere il rinvio alla mia recensione, apparsa su una rivista autorevole: com’è possibile che la differenza di vedute sia così vasta?

—————————————————————-

Riportiamo di seguito, in forma di dialogo, alcuni commenti degli accademici della bufala alla domanda posta dal prof. Girardi

CARLO VITALI: Nel 2012 Piras così esternava ad un intervistatore:

[Il jazz] è un albero che ha radici molto, molto profonde. Se la guardiamo dal punto di vista spagnolo, i primi segnali di jazz risalgono al 1500, se la guardiamo nel continente americano allora nasce nel 1600. Nel secolo scorso sono stati gli americani a vendere il jazz come musica improvvisata. Hanno venduto la loro cultura insieme alle istruzioni per l’uso. […] Ho ancora molti dubbi, ma penso che è arrivato il momento di scrivere finalmente una storia afrocentrica della musica.

Marcello Piras

La passione per la ‘riscrittura’ della storia è evidente. Diciamo che il suo abbraccio coi revisionisti di Sondrio era scritto nelle stelle.

MARIO TEDESCHI TURCO: È almeno dal 2000 che questo studioso promette un saggio esauriente sul tema, ma ancora non mi pare l’abbia pubblicato. Lo leggerei con interesse. Ho letto un suo saggio in cui ipotizza che Mesomede fosse africano. Molto tricoteso, e scritto con tono saccente che personalmente trovo insopportabile: mi domando cosa verrebbe fuori nella misura ampia e distesa d’un volume.
Comunque, la posizione di Piras nei confronti del lavoro di B&T è stata da lui chiarita in un suo post anni fa. Lo studioso non entrava nel merito degli errori che vengono contestati ai due, ma sosteneva che il nucleo del loro discorso fosse giusto. Ora, non mi era risultato ben chiaro a quale nucleo egli si riferisse (immagino alla – presunta – mitizzazione ariocentrica di Mozart), ad ogni modo il senso era quello, ed è un motivo ricorrente della sua produzione saggistica, anche coordinata al suo punto di riferimento concettuale di base, il Martin Bernal di Atena nera (ugualmente fatto a pezzi da miriadi di antropologi e, soprattutto, linguisti). Per restare terra terra, Piras sembrava dire «guardate la luna e non il dito», che del resto è la banalità riferita dai due di Sondrio a coloro i quali desiderano sottoporre a vaglio critico i loro scritti: specie quando vengono beccati in centinaia di errori indiscutibilmente documentati. Mi pare il caso di ribadire invece che, se ci basiamo sull’immagine di cui sopra, «dito» sta per «metodo» e «luna» sta per «risultato». Dimostrato senz’ombra di dubbio che il dito è storto, io permango certo che esso indichi una pozzanghera, e non la silenziosa vergine intatta.

CARLO VITALI: Taboga 1 e 2, Bianchini, Trombetta e seguaci non mirano a fare o a riscrivere la storia, ma a distruggerla, invertendo l’onere della prova mediante l’affermazione a priori, ripetuta usque ad nauseam, che la conoscenza del passato, accumulata sulla base di documenti e testimonianze criticamente vagliati secondo metodi condivisi, si basa invece su una congiura degli ‘storici ufficiali’ volta a nascondere la verità. In questo consiste la loro pretesa «rivoluzione copernicana»: la Luna non è la Luna, ma una palla di formaggio gorgonzola. Infatti gli astronauti del progetto Apollo l’hanno ricostruita in uno studio cinematografico perché gli USA avevano bisogno di un successo propagandistico nel quadro della Guerra Fredda. Come sappiamo, è una teoria che conta numerosi estimatori. Hanno scritto libri con tanto di note a piè di pagina; tanto la carta è paziente e regge praticamente ogni cosa.
Poco più sopra Tedeschi Turco citava uno scritto di Marcello Piras, «Cretese sarà lei!»: indagine sulla vera identità di Mesomede. Come lui, lo trovo inconcludente, e qui ti spiego il perché con l’aiuto di una sintesi per forza di cose schematica (v. allegato grafico).

  1. «Se invece sta… allora era di Cirene e non di Creta» primo anello della catena ipotetica, basato sullo scioglimento alternativo di un’abbreviazione dell’originale greco.
  2. Piras: «Non era ipso facto un nero, ma poteva essere berbero, punico o di altra origine». Infatti, aggiungo io, Cirene ospitava una numerosa colonia ebraica (ricordi il Simone Cireneo dei Vangeli?). Però secondo Piras era «assai probabile che fosse africano e abbastanza che fosse nero». Perché esisteva la tratta degli schiavi neri come «istituzione consolidata»… Secondo anello della catena ipotetica, basato su un dato probabilistico del tutto generico e NON quantificabile. E se invece fosse stato un ebreo reso schiavo per debiti? La schiavitù per debiti era un’altra realtà giuridica consolidata e Francesco Valori (Storia della Cirenaica, Firenze, Sansoni, 1961) descrive ripetute insurrezioni degli Ebrei di quella provincia sotto i regni di Vespasiano e di Traiano, represse con la strage e la riduzione in schiavitù di migliaia di persone.
  3. Nessuna fonte antica descrive Mesomede come nero, però l’argomento non conclude né esclude perché i Romani erano ‘quasi’ colour-blind. Terzo anello della catena ipotetica basato sulla fallacia logica conosciuta come argumentum ex silentio.


Conclusione: Mesomede era un citarista che poetava in greco alla corte di un imperatore romano. Però secondo Piras POTEVA essere nero, o anche no, DUNQUE era un precursore del Jazz. E se fosse stato ebreo, come POTEVA essere, o anche no? Allora, dico io, sarebbe forse stato un precursore del genere Klezmer.
Codesto modo di ragionare a me sembra viziato da una rivendicazione identitaria che assomiglia troppo al razzismo biologico. Non è affatto un’indagine storica o filologica, ma un teorema basato su una catena d’ipotesi autovalidanti. La luna (nera), ossia la negritudine di Mesomede, sta alta nel cielo del wishful thinking; il dito che ce la mostra è fratturato in più punti e potrebbe anche indicare tutt’altro.

MARIO TEDESCHI TURCO: Penso che il bravo Piras proceda al contrario di come il metodo insegna: parte dal generale – che però non è un postulato né un assioma, bensì una sua idea sulla quale giura come sul dogma trinitario: l’afrocentrismo – e cerca di ficcarci dentro anche a pedate e spintoni qualunque fenomeno possa osservare, in questo caso l’etnia di Mesomede.

PAOLO CONGIA: Una faticaccia immane per riscrivere la storia del Jazz perché probabilmente Mesomede era africano e forse pure nero. Ma almeno siamo sicuri che avesse Swing? Ben vengano la ricerca e lo studio di tutto ciò che in epoche remote abbia in qualche modo precorso certi aspetti di quello che attualmente chiamiamo Jazz, purché il tutto non sia spacciato come verità assoluta (ma scomoda) e condito dai soliti «ce lo hanno opportunamente tenuto nascosto per secoli», «non volevano che si sapesse» e complotti vari.

MARIO TEDESCHI TURCO: Dici molto bene. Il tema storico e culturale relativo all’”afrocentrismo” è molto interessante, ma purtroppo ha su di sé un peso ideologico che rischia di accecare.

LIDIA BRAMANI: Faccio notare che Mozart aveva per amico un nero, Fratello di loggia. E che aveva interesse/rispetto per l’Islam, e anche per l’Africa, come documento ampiamente nel mio libro Le nozze di Figaro. Mozart massone e illuminista, Milano, il Saggiatore, 2020.

CARLO VITALI: Pangermanici, panslavisti, panarabisti, panafricanisti e, presto su tutti gli schermi, pancinesi — cos’hanno in comune? Le fette di salame sugli occhi. Questi panini avariati hanno già procurato troppi danni alla digestione di Nonna Umanità. Buttiamoli dove devono stare: nella pattumiera dell’indifferenziata.

MIRKO SCHIPILLITI: È il triste cupo quadro di fondo. Scoprivamo infatti in mezzo ai libri del duo subdole relazioni subliminali di promozione: «Di questo ampio campo si interessano oggi musicologi attivi oltreoceano, come Marcello Piras» (Vol. II, p. 455). Vedete comunque che bella recensione ha fatto loro proprio Piras, reperibile nel sito creato ad hoc a scopo propagandistico, ma di cui il nostro duo non mostra la fonte, sembrando così una sorta di lettera privata. Imbarazzante.

CARLO VITALI: Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Sono trascorsi giusto tre anni da questa incauta sparata difensiva a favore dei compagni di cordata Bianchini & Trombetta, e il professore Piras non ha ancora visto abbastanza?

Ad esempio questa: 6 strafalcioni in 7 righe di testo; solo un piccolo esempio di «inesattezze marginali».


[1] Ricordiamo la definizione di “agiografia”, per una migliore comprensione della citazione:
[…] quell’atteggiamento sentimentale che tende a svolgere narrativamente motivi leggendarî intorno a una personalità della storia […]
Per ulteriori riferimenti, rimandiamo al dizionario Treccani