ovvero: Un’autocritica di Carlo Vitali, Michele Girardi, Mario Tedeschi Turco, Paolo Congia, Marco Murara

A sentenziare con tanto contumeliosa sicumera è l’anchorman di Radio Vaticana dr. Luigi Picardi, che nel quadro della trasmissione “L’Arpeggio” suole offrire generosa ospitalità in assenza di contraddittorio ai celebri musicologi Bianchini e Trombetta, unendosi poi a loro nella compagnia di giro che produce conferenze e instant books. Un comportamento secondo noi più da fervido credente o fiancheggiatore che non da giornalista impegnato a fornire un pubblico servizio informativo, di cui avevamo già ampiamente parlato qui.

Nega dunque il dr. Picardi, come consta dalla sua tesi di laurea, che la creatrice del ruolo di Susanna nelle Nozze di Figaro sia stata la celeberrima Nancy Storace? Più che di eresia, trattasi forse di amnesia, visto che non mancano le fonti pubbliche e private. Ma transeat: perfino per i cattolici credenti, praticanti (e peccatori come tutti gli altri) il dogma dell’infallibilità pontificia – limitata alle definizioni ex cathedra in materia di fede e di morale – non si estende alle private opinioni di un singolo programmista vaticano.

Sulla sua pagina Facebook gli fa pronta eco col seguente commento il sodale Luca Bianchini:

“Hai ragione Gigi [si noti il tono di affettuosa intimità, ndr]. Il termine negazionismo indica chi nega i genocidi, i crimini contro l’umanità. Il negazionismo è una pseudoscienza. C’è un manipolo di invasati che vorrebbe usare in modo improprio il termine negazionismo per dirimere questioni che non c’entrano nulla con le stragi. Sono gli stessi che per argomentare le proprie tesi, vaneggiano di complotti, di terrapiatta ecc. Oggi è il 27 gennaio e si ricordano con dolore le persone e tra loro i tanti musicisti uccisi realmente nei campi di sterminio. Io non sono negazionista.”

Davvero improprio? A lacerare questa fragile foglia di fico interviene con provvidenziale coincidenza di tempi uno di quelli che i signori dottori Bianchini e Trombetta si compiacciono di chiamare “gazzettanti”:

“Qualche anno fa, quando al Maggio fiorentino andò in scena una Carmen col finale cambiato perché si temeva che l’originale risultasse una apologia del femminicidio, mi fu chiaro che si trattava di un principio di inciviltà e barbarie. All’epoca d’oro del politicamente corretto si pensava che il codice dominante andava destrutturato e integrato, che i classici andavano affiancati alla storia raccontata dal punto di vista degli oppressi. E a me stava benissimo. Io sono cresciuto con Soldato blu di Ralph Nelson, che per la prima volta diede una rappresentazione ribaltata dei Pellerossa: erano gli Americani a essere i cattivi. Ora però non si vuole integrare una storia monca, ma la si vuole cancellare, e questo non è un serio conflitto culturale: è soltanto fanatismo

Pier Luigi Battista, intervista a “Il Foglio”, 31 Gennaio 2021

Considerazioni filmologiche a parte, concordiamo sulla netta distinzione fra “revisione” – operazione lecita e pressoché ineludibile nelle scienze storiche – e “negazione“, frutto avvelenato di un fanatismo ideologico che si esprime nei vandalismi non solo teorici della “cancel culture”. Fra i negazionisti dell’Olocausto (Robert Faurisson, Ernst Zündel, David Irving e seguaci) e i neo-musicologi che si autoproclamano “rivoluzionari copernicani” esiste una sostanziale concordanza di metodo, sicché non può ingannare il pretestuoso tentativo di farsi schermo dietro un antirazzismo recitato a fior di labbra mentre si pratica l’esatto contrario, predicando una fanatica crociata antitedesca in campo musicale. Affermano ad esempio Luca Bianchini e Anna Trombetta chiosando il controverso studioso “afrocentrista” Marcello Piras:

“[…] l’attenzione politica, economica e culturale di Spagna e Portogallo era rivolta più alle Americhe che all’Europa. Lì c’era un neoclassicismo non contemplato dalla musicologia ufficiale, con autori bianchi, mulatti, neri, indios e meticci, che avevano imparato l’arte da Maestri italiani, spagnoli e portoghesi, profittando ben poco dei tedeschi, i quali, essendo per lo più degli imitatori, furono sempre in ritardo su tutto. In Russia è lo stesso, con la nostra scuola nazionale che dà vita all’opera e ai generi musicali russi. Anche lì del ‘Classicismo Viennese’ non seppero proprio che farsene” (La caduta degli dei, tomo II, p. 455-6). Il che è dimostrabilmente falso, come ci riproponiamo di argomentare in un prossimo saggio. Gli stessi umori razzisti che già due decenni fa spingevano Giorgio Taboga, il loro maestro spirituale, a discettare di “facce tedesche” e ad invocare la condanna del tribunale della Storia contro il gravissimo delitto commesso dalla musicologia austro-tedesca. Una nuova Norimberga, niente meno, altro argomento che avevamo già in passato ampiamente toccato.

Codesti pretesi debunkers non mirano a fare o a riscrivere la Storia, ma a distruggerla, invertendo l’onere della prova mediante l’affermazione a priori, ripetuta usque ad nauseam, che la conoscenza del passato, accumulata sulla base di documenti e testimonianze criticamente vagliati secondo metodi condivisi, si basa invece su un complotto degli “storici ufficiali” volto a nascondere la verità. Argomentazioni parallele quando non identiche fioriscono, con buona pace del dr. Bianchini, in bocca a ogni sorta di terrapiattisti, ufologi, politologi della domenica e, naturalmente, apologeti dell’antisemitismo teorico-pratico.

Circa l’esortazione a “verificare le fonti”, se lanciata da certi pulpiti suona come l’appello di un muezzin a suonare le campane in chiesa: un ossimoro e una presa in giro. L’ormai molto divulgato infortunio sulla Susanna sbianchettata dovrebbe insegnare loro una maggior prudenza; per non parlare della loro rovinosa polemicuccia contro la professoressa Giuseppina La Face a proposito di certi quarti di tono sopra che erano invece ottavi di tono sotto. Sei sono le bufale contate e documentate in quella singola esternazione, così come sei erano gli strafalcioni storici in 7 righe di testo contenuti entro una pomposa tirata antinazista su Toscanini a Salisburgo. Davvero poco illuminati nel loro livore; e per giunta sordastri confessi, visto che quasi tutto il loro battage in materia deriva da citazioni di terza mano malamente tradotte o da invenzioni arbitrarie:

Li chiameremo ancora musicologi e storici, oppure sofistici negatori dell’evidenza in nome di una realtà parallela creata dai loro fervidi cervelli?

Se ne facciano una ragione: se talora abbiamo ecceduto in generosità accreditandoli del titolo di revisionisti, d’ora in poi cominceremo a chiamarli soltanto negazionisti. Perché non è il campo di applicazione a connotare il negazionista, ma sono l’intenzione perfida e il metodo spregevole. Detto altrimenti: 恶意和卑鄙的过程 (Èyì hé bēibǐ de guòchéng); fonte: “Renmin Ribao”, 30 gennaio 1974. Quella volta era un gazzettante cinese che se la prendeva contro il “revisionista” Michelangelo Antonioni; speriamo che il dr. Bianchini, più esperto nella lingua mandarina che nella tedesca, gradisca il nostro sincero sforzo di autocritica in istile maoista.