di Carlo Vitali, Michele Girardi, Mario Tedeschi Turco, Paolo Congia, Mirko Schipilliti, Marco Murara e Lidia Bramani.

Sulla scia di Halloween, festa delle zucche vuote, degli scherzetti e dei travestimenti vampireschi, un brivido d’orgoglio sta agitando l’Osteria della Bufalotta, quella variopinta congrega di visionari neo-musicologi che si autodefiniscono “rivoluzionari copernicani”. Scrive sul suo profilo Facebook il dottor professor Bianchini Luca a nome proprio e della consorte: «Oggi [29 ottobre 2021, ndr] in Australia, il professore Martin Jarvis della Darwin University ha tenuto la conferenza intitolata “The Mozart Scam” [truffa, ndr]. Ci scrive che ha letto e apprezzato i nostri libri “Mozart the Fall of the Gods”, traduzione inglese di “Mozart la caduta degli dei”, e “Mozart la costruzione di un genio”. All’Università ha parlato anche di noi, elogiando i nostri studi più recenti.»

E subito gli fanno eco gioiosa i sodali: il garrulo citaredo neoborbonico, l’imparruccato cembalista arcade immaginario e autore di sgangherate rime da Suburra, e con loro altri roditori di taglia minore. Tutto come da prevedibile copione, ma ormai li conosciamo bene e compatiamo il loro rovello per non essere apprezzati in patria quanto credono di meritare. Respingiamo invece con disprezzo il loro goffo tentativo di rimbalzare sui propri critici (noi) lo stigma bufalario. Quello compete tutto a loro, se lo tengano stretto e si rileggano semmai questa precisazione di metodo.

Dunque la Corte dei Miracoli ci provoca a tenzone di cornate? Siamo gentiluomini di penna e di spada; non sia mai che si lasci cadere il loro guanto di sfida. Ci pensano ammutoliti e sconfitti di fronte alla strombettata venuta dagli antipodi? Non si facciano illusioni sul conto del loro oceanico fiancheggiatore, la cui eclatante reputazione di bufalaro è già nota da gran tempo all’universo e in altri siti.

E dunque in guardia, signori senza virgolette. Sapete voi quali arti e scienze professi il professor Martin Jarvis? Vi risponde il sito della sua Università: “He teaches viola, violin, conducting, and lectures in both ‘Modernity’ and ‘Creative Practice’, as well as artistically directing the Darwin Symphony Orchestra.” Un violista, violinista e direttore d’orchestra nato nel Galles, formatosi a Londra alla prestigiosa Royal Academy of Music ed infine espatriato in Australia, dove è stato due volte decorato per meriti didattici, artistici e organizzativi non connessi tuttavia in alcun modo alla ricerca musicologica. Modernità e Pratiche Creative sono leggiadri velami sotto i quali si cela chissà cosa; magari qualche corso di nouvelle cuisine, visto che il Nostro mette a curriculum anche il titolo provvisorio di un suo libro in preparazione: If Music Be The Food – a history of musical and culinary art, con tanti saluti a Shakespeare. Ma la filologia musicale dove l’ha mai appresa?

Nel 2007, alla non più verde età di 56 anni, ha discusso la sua tesi di dottorato[1] presso la Charles Darwin University, unico ateneo di quel Northern Territory of Australia la cui popolazione, concentrata in maggioranza nella capitale Darwin, ammonta a 247.000 anime. Sarà forse ingeneroso sottolinearlo, ma nel 2021 l’Alma Mater del professor Jarvis figura al 29mo posto nella classifica delle università australiane e al 501-600mo di quelle mondiali[2]. Si veda quanto, con un pizzico di malcelata superiorità, insinuava nel 2014 Christoph Wolff, professore emerito di Harvard e già direttore del Bach-Archiv di Lipsia: “È semplicemente impossibile per uno studioso tanto isolato in un angolo privo di risorse dell’Australia attuare una ricerca così estesa in meno di un decennio”[3].

Intendeva forse dire il professor Wolff che dall’Australia non possono venire musicologi di alto profilo? Certo che no, visto che tra i suoi allievi di Harvard ce n’è appunto uno: David Black, autore di una raffinata edizione critica del Requiem di Mozart. Lo sappiamo, per voi non è di Mozart; ma alla fine dei conti in cosa consisterebbe quel rivoluzionario apporto di Jarvis agli studi bachiani che Wolff ritiene impossibile? Tre le sue affermazioni principali, a dir poco soggettive:

— Anna Magdalena Wilken in Bach era una rovinafamiglie che, avendo intrecciato col Cantor una tresca extraconiugale, spinse al suicidio la di lui prima moglie Maria Barbara e poi ne prese il posto. Il tormentone del delitto misterioso produce sempre un certo effetto; perché farselo mancare?

— Oltre che soprano e copista bachiana fin dal 1713, quando non aveva che dodici anni, Anna Magdalena sarebbe stata compositrice in proprio, e – come copista – tanto abile da stendere sotto dettatura le ultime partiture di un Bach ormai praticamente cieco dal 1740. Ad esempio le ultime tre sezioni della Messa in si minore. Ma se era capace di tanto, argomenta ulteriormente lo studioso australiano, perché non anche di comporle lei stessa?

— La sullodata signora, e non suo marito, avrebbe composto le Sei Suites per violoncello solo (BWV 1007-1012), l’Aria delle Variazioni Goldberg (BWV 988/1), e il Preludio in do maggiore del Clavicembalo ben temperato (BWV 846/1). Prove di tanto rivoluzionaria scoperta: a) la mistica intuizione di Jarvis, già maturata nel corso dei suoi primi studi musicali, che: “I lavori per violino [le Sonate e Partite, ndr] appaiono complesse e intellettualmente stimolanti; al confronto i lavori per violoncello sembrano abbastanza semplici”. b) L’annotazione “ecrite par Madame Bachen : Son Epouse” in calce al frontespizio della “copia Schwanberg” dove sono raccolte tanto le Sonate e Partite quanto le Suites[4].

Ecco trovata la pistola fumante: “scritta” vorrà certo dire “composta”, sentenzia il professor Jarvis fondandosi su una delle tante accezioni trovate nel dizionario Larousse del 2006. Peccato che, esaminato nella sua interezza, il frontespizio redatto dall’allievo di Bach affermi tanto per l’una quanto per l’altra opera, la complessa come la semplice, “composée par S[ieu]r J. S. Bach”. Perciò, secondo la faziosa ermeneutica maschilista della musicologia mainstream, composte dal Signor Bach e (tra)scritte da Madama. Un frontespizio vergato in un incerto gergo franco-italiano da un Tedesco del primo Settecento non è, come ognuno intende, una fonte lessicografica al di sopra di ogni sospetto; d’altronde Jarvis non è in migliori condizioni dato che per sua stessa ammissione il suo francese è “roba da scolaretto di base, utile per ordinare una tazza di caffè ma non per molto altro”, mentre il suo tedesco sarebbe in compenso “assai debole”[5], e dell’italiano non si fa parola. Ci chiediamo in margine come l’abbia sfangata con l’idioma in cui sono più o meno redatti “i nostri [di Bianchini e Trombetta, ndr] studi più recenti” da lui elogiati, cioè quelli non ancora tradotti in internescional inglisc dalla professoressa Iole Dei Cas da Bormio (Sondrio). Ossia tutti[6].

Chi da anni segue sulle nostre pagine le dimostrazioni tragicomiche dell’enciclopedica incompetenza palesata da Taboga senior e junior, Bianchini, Trombetta e compagnia bufalaria fiuterà lo stesso inconfondibile aroma di dilettantismo che contraddistingue il filologo-fai-da-te. Sapere di matematica oppure ballare e suonare il violino, la tromba o la chitarra non abilita a sentenziare di metodo storiografico, cultura materiale, scienze ausiliarie, linguistica storica, dialettologia e via elencando. I promotori di teorie musicologiche sensazionali (leggi di frangia) tendono infatti a condividere alcune caratteristiche comuni con i fantasisti in altri campi della scienza; ad esempio certi genialodi di provincia avidi di scorciatoie alla notorietà: “decifratori” dell’etrusco, inventori di macchine del moto perpetuo e simili. Abbiamo anche qui un diabolico tridente:

a) La sopravvalutazione della propria competenza in uno o più dei linguaggi testuali e musicali a confronto nonché del loro sviluppo diacronico, con annessa sottovalutazione delle conoscenze degli esperti. Uno è uguale ad uno: basta saper leggere e scrivere per definirsi scrittori o critici letterari. Una tesi da 110 e lode sulla musica greca antica abilita a discettare di geopolitica settecentesca, di neurologia e di società segrete. Si allude? Decisamente sì.

b) La pretesa che le presunte relazioni infra- e intertestuali siano ovvie e facili da percepire, non necessitando di un’applicazione scrupolosa del metodo comparativo né di un’analisi di contesto condotta su un’ampia messa in serie di documenti affini. Parola chiave: va’ dove ti porta il cuore e passa direttamente al conteggio dei likes.

c) Il lagno vittimistico che la critica alle loro teorie è motivata da tradizionalismo, interessi politico-economico-ideologici (meglio se razzisti, sessisti o rettiliani), e naturalmente da oscuri complotti a difesa del cosiddetto “establishment accademico”.

Se ne facciano una ragione i bufalari di casa nostra: il loro testimonial australiano non è più autorevole ma solo più fortunato di loro, potendosi avvalere – benché monolingue confesso – del privilegio anglofono nonché del sostegno di un’opinione pubblica, o meglio pubblicata, che intreccia in poco casti connubi il femminismo 2.0, il relativismo del pensiero ultra-debole e la cancel culture negazionista intenta a riscrivere un passato che non piace. Gradiscono la compagnia? Buon pro’ gli faccia, ma allora vogliano meditare su quanto scriveva qualche anno fa il periodico radical-chic “The New Yorker”, quando la discussione sulle neo-verità di Jarvis cominciava ad esondare dalla cerchia degli specialisti in quella scalata di volgarizzazioni che, dopo una lunga serie di interventi congressuali, articoli, interviste e soffietti pubblicitari, culminava nel 2014 col perdibilissimo documentario Written by Mrs Bach[7];stesso titolo del libro pubblicato tre anni prima come espansione della sua tesi di dottorato:

“[…] a nessuno è utile una speculazione selvaggia che distorce il dato storico – o, per quello che ci riguarda – attribuisce un brano musicale a una donna con l’argomento che manca di maturità. […] Un mondo della musica classica dominato dal passato sarà inevitabilmente dominato dai maschi. Anziché provare ad inventarsi una Bach femmina nei secoli trascorsi, cerchiamola nel presente”[8].

Non meno urticante il giudizio della “National Review Online”, magazine di opposta tendenza politica conservatrice: “La tesi di Jarvis è pressoché del tutto infondata, calunniosamente speculativa e respinta dagli studiosi accreditati”. […] Una delle strambe convinzioni di Jarvis – ossia che Anna Magdalena abbia scritto la maliosa aria contemplativa che apre e chiude le Variazioni Goldberg, ma non le variazioni stesse – è in effetti abbastanza affascinante. Solo che ne manca una qualsiasi prova”[9].

Ma questi sono gazzettanti venduti e tossici maschilisti bianchi, ci sarà magari obiettato dai soliti apologeti del Politicamente Corretto. Prendiamo allora la musicologa Ruth Tatlow, citata quale consulente nei titoli di coda del suddetto docu-film eppure autrice di una stroncatura tanto devastante quanto tecnicamente ferrata in cui ne parla come di “un’occasione mancata” per fare verità sulla famiglia Bach e sugl’innegabili meriti umani e musicali di Frau Anna Magdalena. Sarà il caso di dimenticarsene e di riprovarci con maggiore serietà, ella conclude: “[…] presto il clamore che circonda Written by Mrs Bach si estinguerà e questo deplorevole episodio sarà dimenticato. Guardando al futuro, assicuriamoci che il prossimo film bachiano destinatario di premi getti luce su ricerche degne dell’attenzione internazionale. Immaginiamoci l’effetto positivo di un film basato su approfondimenti e scoperte meritevoli dell’epiteto di ‘battistrada mondiale’, e non di ‘depistatore mondiale’ “[10]. Questo si chiama parlar chiaro in favore di un mercato cuturale sostenibile. Ma se ancora non bastasse, ecco ciò che contestualmente hanno dichiarato alla stampa americana due qualificati professionisti della ricerca bachiana circa la tesi dottorale di Martin Jarvis e le sue successive ricadute a catena in collaborazione con specialisti di grafologia forense, papirologia, liuteria, autocoscienza femminile e anatomia patologica. Non stiamo scherzando: è tutto nel film.

Yo Tomita, professore alla Queen’s University di Belfast e già Senior Fellow del Bach-Archiv di Lipsia: “Nella narrazione biografica su Bach ci sono numerosi errori […] Non c’è nulla di nuovo che [Jarvis] abbia scoperto grazie alle proprie ricerche archivistiche. Ogni elemento nuovo è prodotto di una sua immaginazione. Nessuna prova oggettiva da lui scoperta lavorando in archivio. L’ha trovata nella propria testa”[11].

Il già citato Christoph Wolff: “Sono stufo e disgustato di questa stupida tesi. […] Non c’è uno straccio di prova, ma Jarvis non si arrende benché parecchi anni fa, ad un congresso bachiano tenutosi a Oxford [nel 2008, ndr ], una stanza piena di serii studiosi di Bach gli abbia inflitto un’imbarazzante resa dei conti”[12].

A siffatta grandine di legnate il prode violinista degli antipodi ha reagito secondo le modalità che ben conosciamo anche alle nostre longitudini: lamentandosi di essere divenuto “un paria” della comunità musicologica e paragonando se stesso a Galileo Galilei, scopritore di nuovi mondi celesti che gli aristotelici di turno si rifiutano di ammirare nel suo magico cannocchiale. Proprio come i nostri debunkers “copernicani” del mito di Mozart, che ora festeggiano in Jarvis l’incontro con un’anima gemella; una gleichgestimmte Seele ci azzarderemmo a dire se non sapessimo che la lingua del poeta di Winterreise è un libro sigillato per i nostri sfidanti[13]. Commenta il signor Bianchini Luca con uno dei suoi devoti: “Grazie Giovanni, non siamo mai stati in Australia. Almeno in spirito ci siamo arrivati”.

Già, nello stesso modo in cui sono arrivati alla Maratona Mozart di Torino: in ispirito e desiderio perché in carne ed ossa non ce li hanno voluti[14]. Non disperino comunque; tanto è l’affetto che gli portiamo da augurarci di averli sempre fra noi. La terra dei canguri, essendo già abbastanza fornita di bufali e vario bestiame da pascolo, non necessita affatto di nuove transumanze. E se proprio desiderano maneggiare il boomerang ne possono acquistare altri ancora a Tricase, capitale pugliese del self-publishing. Solo stiano attenti ai rimbalzi sul cranio e si guardino dallo sfidare l’Accademia della Bufala, che in materia di connessioni internazionali può dar loro più di una sonora lezione. Come, a Dio piacendo, si vedrà presto su questi schermi.

NOTE

[1] Martin Jarvis, Did Johann Sebastian Bach write the Six Cello Suites?, PhD dissertation, Faculty of Law, Business & Arts, Charles Darwin University, 2007.

[2] Times Higher Education World University Ranking 2021 (25 agosto 2020); altre classifiche meno benevole la quotano fra 701 e 750 o addirittura a 936.

[3] “It is simply impossible for a scholar who is so isolated in a corner of Australia where there are no resources to carry out such an extensive research in less than a decade”. Cit. in Tim Cavanaugh, Bogus Bach Theory Gets Media Singing (“National Review Online”, 29 ottobre 2014).

[4] Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Musikabteilung, Mus. ms. Bach P 268.

[5] Martin Jarvis, Written by Mrs Bach, Pymble, NSW, ABC Books – HarperCollins Australia, 2011, pp. 28 e 185: “basic schoolboy stuff, useful for ordering a cup of coffee but not much else”; “very weak”.

[6] Ricordate il caso del recensore recensito?

[7] Written by Mrs Bach, regia di Alex McCall e Irini Vachlioti, Glasgow Films, 2014; la versione DVD 2018 (87 minuti), è reperibile anche in streaming su diverse piattaforme gratuite o a pagamento. Cfr. n. 1, supra.

[8] Alex Ross, The Search for Mrs. Bach (“The New Yorker” 31 ottobre 2014): “no one is well served by wild speculation that distorts the historical record – or, for that matter, ascribes a piece of music to a woman on the grounds that it lacks maturity. […] A classical-music world dominated by the past will, inevitably, be one dominated by men. Instead of trying to invent a female Bach in prior centuries, let’s seek her in the present”.

[9] Tim Cavanaugh, Back to Bach: Lies Do Not Empower Women (“National Review Online”, 2 novembre 2014): “Jarvis’s thesis is almost totally unsupported, slanderously speculative, and rejected by legitimate scholars. […] One of Jarvis’s odd beliefs – that Anna Magdalena wrote the hauntingly contemplative air that opens and closes the Goldberg Variations but not the variations themselves – is actually kind of charming. It’s just that there’s no evidence for it”.

[10] Ruth Tatlow, A Missed Opportunity. Reflections on ‘Written by Mrs Bach‘, in: “Understanding Bach”, anno 10 (2015), pp. 141-157. A p. 157: “[…] soon the buzz surrounding Written by Mrs Bach will die down and this lamentable episode forgotten. As we look forward, let us ensure that the next prize-winning Bach film highlights research worthy of international attention. Imagine the positive effects of a film based on insights and discoveries meriting the accolade ‘world leading’, rather than ‘leading the world astray’ “.

[11] “There are numerous errors as regards the account of Bach’s life […] There is nothing new that he uncovered from his own archival research. All new is his imagination. There is no objective evidence he has uncovered through his archival work. He found it in his head”. V. anche dello stesso autore: Anna Magdalena as Bach’s Copyist in: “Understanding Bach”, anno 2 (2007), pp. 59-76.

[12] “I am sick and tired of this stupid thesis. […] There is not a shred of evidence, but Jarvis doesn’t give up despite the fact that several years ago, at a Bach conference in Oxford [nel 2008, ndr], a room full of serious Bach scholars gave him an embarrassing showdown.”

[13] Ne avevamo già parlato qui

[14] Argomento che avevamo già discusso in passato