Lettera aperta di Carlo Vitali a Michele Girardi
Caro Michele,
il 30 maggio 2021 “L’Eco di Bergamo”, rispettabile quotidiano di area cattolica fondato nel 1880, annunciava la partecipazione della bergamasca Martina Serravalle (9 anni) alla 63ma edizione della nota kermesse bolognese “Lo Zecchino d’Oro”, da tenersi nello stesso pomeriggio in diretta TV con inizio alle ore 17:20. La sua canzoncina di genere trap, scritta e musicata da Leonardo Pieraccioni e Francesco Tricarico, recava il titolo “Mozart è stato gestito male” con tanto di alato ritornello:
Mozart è stato gestito male
Non si doveva sposare
Mozart è stato vestito anche male
Mozart è stato gestito male
Non si doveva sposare
E in Cina doveva andare.
Chi meglio di noi può apprezzare la creatività fantamusicologica? Purtroppo la giuria, in cui sedeva anche la divina Katia Ricciarelli, non è stata della stessa opinione; il piazzamento al nono posto su 14 ci fa immaginare il disappunto della povera bambina, nonché di genitori, amichetti e redattori della pagina Cultura e Spettacoli. Il cui caposervizio Carlo Dignola si era premurato di aggiungere in taglio basso al sopracitato annuncio un proprio articolo che non si fatica a credere ispirato dall’evento zecchinesco. Titolo e sommario recitavano: “E Mozart copiava un bergamasco. Storia della musica. Ritrovata a Cracovia la partitura del compositore gandinese Quirino Gasparini che era finita tra le carte del genio di Salisburgo e che per più di un secolo è stata considerata da tutti una sua composizione”[1].
Cominciamo a fare un po’ di conti della serva. La pagina ritrovata a Cracovia[2] reca nel margine superiore destro l’annotazione “Von Mozart und seiner Handschrift” [di Mozart e nella sua scrittura]. La mano che l’appose ci sembra familiare: dovrebbe trattarsi di Georg Nikolaus Nissen, secondo marito della vedova Constanze Mozart e quindi co-erede delle carte lasciate dalla Buonanima. Troppo entusiasmo, forse non disinteressato? Non è l’unico caso. Nissen morì nel 1826; nella prima edizione del catalogo Köchel, datata 1862, il brano fu registrato come lavoro mozartiano sotto il numero 327, e a solo da quel momento l’attribuzione fu “considerata da tutti” come autentica. Dopo molto meno di un secolo l’equivoco veniva dissipato da più di uno studioso: H. Spies nel 1922, F. Raugel nel 1931, A. Geddo nel 1958[3]. In ultimo W. Plath (1962) argomentò che nemmeno la grafia era di Wolfgang, bensì di Papà Leopold[4]. Fin dalla terza edizione del catalogo Köchel, curata da Alfred Einstein e pubblicata nel 1937, l’Adoramus era finito nell’appendice dei lavori spuri con la sigla Anh. 109.III, poi cambiata nell’attuale Anh. A 10 del Köchel VI (1964). Così si lavora nella musicologia seria: con progressivi incrementi di conoscenza condivisi nella comunità internazionale degli studiosi.
Poi arrivano gli Indiana Jones di turno a riscoprire l’ombrello. Sostiene Dignola che gli appassionati e meritevoli ricercatori gandinesi Marco Guerinoni e Tobia Sonzogni, compaesani del Gasparini, abbiano smosso mezzo mondo per “recuperare” una copia dell’articolo di Spies, comparso su una rivista “di fatto introvabile e mai giunta in Italia”, sì da doverla acquistare presso una libreria antiquaria di Berlino. Della “di fatto introvabile” rivista due biblioteche italiane possiedono annate: quella del PIMS (Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma) e la Statale di Cremona. Manca l’annata del 1922? È vero, ma in Germania la possiedono 7 biblioteche, di cui 3 a Colonia, una a Ratisbona, una a Heidelberg, e una a Tubinga; centri universitari di un certo rilievo dove senza difficoltà si praticano a seconda dei casi la fotoriproduzione o il prestito interbibliotecario.
Preferiscono i nostri eroi comprarsi le fonti originali per tenerle in salotto e ostentarle in selfie? Pare di sì, perché si sono fatti venire da Londra “una copia originale” del Köchel prima edizione, di cui tuttavia potevano trovare l’originale al Conservatorio di Milano e la ristampa in facsimile[5] al Museo e biblioteca internazionale della musica, sito nella stessa città dello Zecchino d’Oro. Provinciale non è chi abita in provincia, bensì colui che ignora come il mondo dell’informazione sia oggi tanto globalizzato da rendere superflui (e anche un tantino ridicoli) tali eccessi di zelo. Ma Dignola non se ne avvede; anzi li esalta e li fa esaltare. Da una ribattitura ampliata del suo articolo[6] apprendiamo poi le seguenti rivelazioni:
“Quirino Gasparini fu compositore prolifico, in particolare per quanto attiene al campo della musica sacra, ma si dedicò con profitto anche alla musica strumentale e operistica. Si ricordano fra gli altri “Artaserse” (1756), “Mitridate” (1767, partitura conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi e alla Biblioteca dell’Accademia Filarmonica di Torino); una azione musicale [sic, rectius: azione teatrale, ndr], in collaborazione con Giuseppe Sordella, dedicata all’imperatore Giuseppe II in occasione della sua visita a Torino (13 giugno 1769).”
Fra gli altri? No, è tutto qui: due opere e una mezza serenata coreografica d’occasione (“azione teatrale intermediata di danze”) scritta in condominio. Senz’altro un compositore interessante, buon contrappuntista e maestro di chiesa; ma etichettarlo (ibidem) “un grande della musica settecentesca, finito suo malgrado al centro di una storia incredibile, nato in Bergamasca e divenuto riferimento per grandi compositori, a cominciare da Wolfgang Amadeus Mozart” ci pare iperbolico. In mancanza di dati concreti, rullano i tamburi, squillano le trombe e i tromboni:
“Gasparini e i Mozart si incontrarono, nel gennaio 1771 a Torino. Come testimoniato dal loro ricco epistolario, i Mozart mantennero per il maestro Gasparini un rapporto di stima e di rispetto, studiando ed eseguendo in patria i brani del maestro gandinese.”
Nel loro ricco epistolario io trovo solo una menzione di saluti mandati da Leopold all’abate Gasparini per il tramite dell’oboista Carlo Besozzi[7] e la spedizione a Wolfgang, all’epoca dimorante a Mannheim con destinazione finale Parigi, di “cinque grandi arie” fra cui una di Gasparini, ma le altre di Bertoni, Monza, Grétry e Colla[8]. Più, ovviamente, la laconica menzione del “Maestro del Domo [sic] Gasparini” nell’elenco delle persone incontrate a Torino nella seconda metà del gennaio 1771[9]. Bottino miserello per tirarne fuori cotanta fanfara rococò (stima, rispetto, “brani” al plurale).
Dove poi l’egregio Dignola si rende molesto con le sue puzzette d’imparaticcio è un lungo commento su Facebook[10], in cui spiattella l’interpretazione autentica del proprio pensiero:
“Si dà il caso […] che sia stato ritrovato in Polonia, dove non ci si aspettava fosse conservato, lo spartito originale su cui i Mozart, Leopold e Wolfgang, verosimilmente in combutta, copiarono – come indica correttamente il titolo – le note di Gasparini, presso la corte di Torino”.
Chiariamo: la “combutta”, termine insinuante, non c’entra un bel nulla visto che la copia di Cracovia sembra proprio di mano di Leopold (cfr. nota 4, supra). Il benemerito Don Hermann Spies ebbe gioco abbastanza facile pubblicando nel 1922 un articolo dove analizzava una fonte manoscritta presente nell’archivio del suo posto di lavoro, cioè la cattedrale di San Ruperto a Salisburgo. I nostri Indiana Jones, anziché comperarsi con fatica e spese una copia della rivista “introvabile”, potevano magari rivolgersi al database del RISM, dove con quattro colpi di mouse avrebbero trovato segnatura, incipit, titolo originale e perfino il nome del copista che vergò il documento: Johann Gallus Mederitsch (1752-1835). Così recita il suo eloquente frontespizio: Adoramus te christe :/ | a 4|t|r|o | di Quirino Gasparini.
La stessa attribuzione non figura invece nel foglio di Cracovia, una copia di uso privato già registrata nell’inventario post mortem delle carte di Wolfgang (Mozart-Nachlass Nr. 115), e che nulla ci autorizza a ritenere l’antigrafo della copia salisburghese, come invece specula BERGAMO 2:
“Va detto che l’archivio della Cattedrale di Salisburgo conserva una copia manoscritta del mottetto “Plangam dolorem meum” e una copia dell’“Adoramus te, Christe” provenienti dal Mozart-Nachlass, l’eredità mozartiana; si tratta di copie realizzate dai copisti di Mozart ad uso del coro della Cattedrale”.
Veniamo ora al meglio: “in Polonia, dove non ci si aspettava fosse conservato”. Questa di BERGAMO 3 risulta, ci si perdoni la franchezza, una somarata. Già nel dicembre del 1948 la Biblioteca dell’Università Jagellonica di Cracovia ospitava oltre un centinaio di autografi mozartiani veri o presunti, fra cui l’intera partitura della Zauberflöte, gli ultimi due atti delle Nozze di Figaro e 11 sinfonie (inclusa la Jupiter): tutti cimeli provenienti dalla Biblioteca di Stato Prussiana a Berlino. Di là, onde preservarli dal pericolo di bombardamenti, l’infausto Terzo Reich li aveva traslocati in vari depositi segreti della Slesia, regione che in seguito agli eventi bellici fu riassegnata dagli Alleati alla Polonia. Tutto il pittoresco ambaradàn narrativo di BERGAMO 1 a base di “caduta degli dei”, “piccola vendetta” polacca, dettagli tecnici sul suicidio di Hitler, ecc. che ci sta a fare?
A nascondere quanto il Dignola e collaboratori “non si aspettavano”; cioè che fin dal 1981 il reporter britannico Nigel Lewis (vero giornalista d’inchiesta e non rimasticatore di banalità) avesse già raccontato in un libro[11] la storia semisegreta del “fondo prussiano” e dei tentativi delle due Germanie di allora per riaverne almeno qualche pezzo più pregiato. Ciò che finora è riuscito solo in parte alla ricca Bundesrepublik riunificata dopo il 1990. Tralasciando i dettagli di questo appassionante giallo biblioteconomico[12], basterà qui rilevare che proprio la Polonia era il luogo più probabile dove cercare il foglio scomparso, e che la sua ricomparsa non è certo merito degli Appassionati di Gandino, bensì frutto degli sforzi congiunti di studiosi, diplomatici e leader politici dei due Paesi.
Così si fa la controstoria immaginaria della musica, citando di seconda mano documenti mai letti. Sempre da BERGAMO 2:
“La maestria del Gasparini compositore d’opera è testimoniata efficacemente in una lettera di Leopold Mozart a padre Martini del 2 gennaio 1771 riguardante l’omonima opera del figlio [Mitridate re di Ponto, ndr], nella quale si legge che alcune delle cantanti chiamate a interpretare l’opera in questione, in particolare Antonia Bernasconi, pretendevano di inserirvi alcune arie e un duetto tratti dalla corrispondente partitura del Gasparini”.
In realtà la lettera[13] dice l’esatto opposto, ossia che:“uno ha avuto l’habilità di portare alla prima Donna [Antonia Bernasconi, ndr] tutte le sue Arie, come ancora il Duetto, tutto della Compositione del Abbate Gasparini di Torrino, cio è le Arie fatte à torrino, con persuaderla di mettere queste Arie, e di non accettare nulla di questo Ragazzo, chi non sarà mai capace di scrivere un sola buona Aria. Mà la prima Donna si dichiarò, di voler vedere prima le Arie del mio Figlio: e avendo le vedute si dichiarò contenta, anzi arcicontenta […] e i Cantanti tutti si dichiaravano contenti”.
Sappiamo chi era l’intrigante deluso: il tenore siciliano Guglielmo D’Ettore, interprete del ruolo di Mitridate sia a Torino sia a Milano, e sappiamo anche donde BERGAMO 2 ha ricavato la sua perversa narrazione: è il letterale taglia-e-incolla da una diffusa fonte di consultazione. Ma di ciò per ora basti, dal momento che il prof. Francesco Bellotto (musicologo assai noto ed attivo anche in terra bergamasca) sta per pubblicare sulle nostre pagine una puntuale rettifica di questa come di molte altre bufale circa i due Mitridate; ultime in ordine di tempo quelle spacciate dai musicologi negazionisti Luca Bianchini e Anna Trombetta in un loro libroide che è stato recensito con poca tenerezza dall’eminente studioso mozartiano Cliff Eisen[14].
Ne riparleremo volentieri con chiunque sappia almeno un paio di cose sulla storia della musica settecentesca; ma difficilmente fra i nostri interlocutori prenderemo in considerazione il supponente signor Dignola, il quale ci rimprovera di non voler spendere quel fatale euro e mezzo per pascerci dei suoi dilettanteschi scritti in materia[15. ]A questo traduttor de’ traduttor di Mozart possiamo solo raccomandare di leggere quanto aveva già in casa: un articolo di Giambattista Gherardi comparso quasi otto anni fa nel suo stesso giornale[16]. Per quanto non esente da imperfezioni (ma chi fra i mortali può definirsi perfetto?), da esso il Dignola potrebbe apprendere qualcosa in termini di sobrietà espositiva e onesta divulgazione: più fatti documentati, meno lazzi e meno millanterie.
Ahinoi, o Michele! Parafrasando il cantore della Gerusalemme liberata, anche “L’Eco di Bergamo” invecchia, e invecchiando intristisce[17]. Tu invece stammi sano e allegro.
Di casa, 20 febbraio 2022.
[1] D’ora in poi: BERGAMO 1.
[2] Vedine la riproduzione in APPENDICE (a).
[3] Hermann Spies, Ist die Motette Adoramus te […] von W. A. Mozart? Eine kritische Untersuchung, in: “Gregorius-Blatt” 47 (1922), pp. 25–29 e supplemento al n. 6 (giugno 1922); Félix Raugel, Quirino Gasparini […] maître de chapelle de la cour du Piémont et de la cathédrale de Turin, auteur de l’Adoramus te à 4 voix attribué à W. A. Mozart, in: “Revue de Musicologie” XII (1931), pp. 9–12; Angelo Geddo, Bergamo e la musica, Bergamo, Stamperia Conti, 1958, pp. 162–163.
[4] Wolfgang Plath, Studien zur Mozart-Autographie I: Die Handschrift Leopold Mozarts, in: “Mozart-Jahrbuch 1960/61”, 1962, p. 109.
[5] Hildesheim, Olms, 2006.
[6] Quirino Gasparini e quel foglietto galeotto finito fra gli spartiti di Mozart, “L’Eco di Bergamo”, supplemento culturale firmato “Eppen”, 25 agosto 2021. D’ora in poi cit. come BERGAMO 2.
[7] Epistolario Bauer-Deutsch n. 450, 25-26 febbraio 1778.
[8] Ivi, n. 430, 28 maggio 1778.
[9] Reisenotizen (appunti di viaggio di Leopold), ivi, n. 229.
[10] D’ora in poi BERGAMO 3. Vedilo riprodotto in APPENDICE (b).
[11]Paperchase: Mozart, Beethoven, Bach […] The Search For Their Lost Music, London, Hamish Hamilton, 1981.
[12] Un’ampia relazione del quale è stata compilata da Marek Sroka, The Music Collection of the Former Prussian State Library at the Jagiellonian Library in Kraków, Poland: Past, Present, and Future Developments, in: “Library Trends”, 55 (2007), 3, pp. 651–664.
[13] Epistolario Bauer-Deutsch, n. 226.
[14] https://www.accademiadellabufala.it/2021/12/22/once-is-an-accident-twice-a-coincidence-three-times-a-habit-a-review-of-mozart-in-italia-by-prof-cliff-eisen/
[15] BERGAMO 3: “In ogni caso vi consiglio, visto che non mi pare siate ragazzini di primo pelo, di usare un metodo semplice sui social network, che di solito va raccomandato alle generazioni più recenti: prima di pubblicare le proprie spontanee considerazioni (alcune delle quali sinceramente offensive) conviene leggere di che si tratta. Magari spendendo (eresia!) quell’euro e mezzo che costa una copia di giornale per paragonarsi seriamente, con giuste obiezioni, a quanto vi sta scritto”. Una vera lezioncina di etica…
[16] Quella pagina del gandinese Gasparini rimasta a lungo nel catalogo di Mozart , ne “L’Eco di Bergamo”, 25 luglio 2014
[17] Torquato Tasso, Aminta, II, 2, 71-72.
APPENDICE (a)
APPENDICE (b)
25 Febbraio 2022 il 09:28
Trovo allarmante che si espandano certe fesserie, ora pure affidate a qualche scribacchino raccomandato dalla Curia di Bergamo. Ormai, Mozart comincia a passare presso la nostra ignoranza locale per una specie di Fantômas musicale, grazie a una combriccola di aspiranti stregoni di risulta. Il processo mi pare senza senso.
25 Febbraio 2022 il 13:05
Caro GianGualberto,
come cattolico credente, praticante e peccatore devo deplorare che organi ufficiali della mia Chiesa, quali la Diocesi di Bergamo e il Dicastero per la comunicazione della Curia romana — editori di riferimento de “L’Eco di Bergamo” e di Radio Vaticana, rispettivamente — non sappiano scegliersi meglio i loro comunicatori in materia di storia della musica.
Peraltro, come tu ben saprai, il dogma dell’infallibilità si limita alle dichiarazioni ex cathedra del Sommo Pontefice in materia di fede e di morale; il che non comprende le teorie più o meno deliranti sparse nei sullodati media dai Signori Carlo Dignola, Luigi Picardi e ospiti attovagliati.
Reddite quae sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Dei Deo. Canone di sana laicità che mi permetto di chiosare così: et quae sunt bubalorum sterquilino.
Pace e shalom a tutti.